Carige, girandola di rumor: da spettro liquidazione al tesoretto di 700 milioni se si fonde con una banca piccola
Spettro liquidazione per Carige, ma anche tesoretto in vista per la banca, che potrebbe incassare ben 700 milioni di euro, grazie a un emendamento presente nel decreto crescita che vede come primo firmatario il leghista Alberto Gusmeroli e di cui parla nell’edizione di oggi l’articolo del Corriere della Sera firmato da Fabrizio Massaro.
“Spunta la norma salva-Carige, un bonus fiscale da 700 milioni. Si lavora alla fusione con una banca piccola. La trattativa con l’Ue sugli aiuti di Stato”
Nell’articolo si legge che l’emendamento pro-Carige permetterebbe all’istituto di usufruire di un bonus fiscale fino a 700 milioni di euro. Un tesoretto che sarebbe accessibile solo nel caso in cui l’istituto di credito ligure si fondesse con una banca piccola. E’ su questa operazione che si starebbero concentrando i lavori per la salvezza della banca, secondo quanto riporta Il Corriere della Sera. E un tale scenario potrebbe raccogliere il consenso anche del primo socio della banca, la famiglia Malacalza, che vuole continuare ad avere un ruolo nell’istituto.
Da un punto di vista tecnico l’emendamento, che è stato presentato alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, prevede che le “attività per imposte anticipate» (in termine tecnico «Dta»), cioè quelle determinate da perdite passate, possano essere utilizzate tutte subito, anziché spalmate in dieci anni, in caso di un’aggregazione che dia vita a una banca con «non oltre 30 miliardi» di attività. Insomma lo Stato favorisce le fusioni con una sorta di «sconto» sulle tasse. Il vantaggio sarebbe nel rafforzamento immediato del patrimonio della banca (il «Cet1»)”.
Di conseguenza gli advisor e Bankitalia sarebbero già all’opera per “individuare un piccolo istituto con cui far fondere Carige: serve una ‘banchetta’, così da rimanere entro il limite dei 30 miliardi, dato che da sola Carige ha circa 21 miliardi di attivi”. E “la fusione libererebbe capitale fondamentale per puntellare il patrimonio di Carige“.
Nel frattempo, i rumor sul destino di Carige si sprecano. Il Sole 24 Ore rivela che i tre commissari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener, stanno lavorando proprio per rendere più attraente, agli occhi dei fondi di private equity, il dossier Carige e, di conseguenza, starebbero valutando anche la possibilità di apportare modifiche sia al piano industriale che allo stesso fabbisogno di capitale.
Si parla di “condizioni simili, ma non uguali, a quelle previste per BlackRock”, scrive il quotidiano di Confindustria:
“Sarebbe questa la premessa che avrebbe spinto i fondi di private equity Warburg Pincus, Blackstone e Varde a sedersi al tavolo delle discussioni. E due, a quanto risulta al Sole 24Ore, sarebbero gli elementi di novità. Il primo riguarda il tema del fabbisogno di capitale nell’orizzonte di piano strategico al 2023: l’asticella dell’aumento di capitale nel 2019 verrebbe mantenuta a quota 630 milioni, meno dei 720 milioni (o secondo le stime più prudenti anche 800 milioni) previsti nel dossier BlackRock. Ma in virtù di un fabbisogno più contenuto nell’orizzonte di piano, di un ritocco al piano industriale, e di una struttura finanziaria più solida, l’operazione sarebbe in grado di offrire ritorni più interessanti per i fondi di private equity”.
Ma se alla fine, nonostante questi sforzi, nessuno continuasse a volere Carige? E’ questo contesto quello che viene considerato dalle fonti di Reuters, che riportano che le autorità di Vigilanza europee sarebbero contrarie a quella soluzione di ultima istanza contenuta nel decreto Carige approvato dal governo M5S-Lega a inizio anno, e che si sostanzierebbe in una ricapitalizzazione precauzionale in stile Mps. Tale soluzione non sarebbe condivisa però da alcuni esponenti della vigilanza bancaria, che proporrebbero, in caso di flop di una soluzione privata, direttamente la liquidazione.
Così come commenta La Repubblica facendo riferimento alle indiscrezioni di Reuters, “al di là delle dichiarazioni ufficiali, l’impressione è che dentro alla Bce si possano confrontare valutazioni differenti. Non tutti, insomma, vedrebbero con favore l’intervento in Carige di uno Stato che ha già sostenuto la crisi del credito con un’iniezione di 20 miliardi di euro”. E il no alla ricapitalizzazione precauzionale farebbe crollare i sogni del vicepremier pentastellato Luigi Di Maio, che nei mesi precedenti aveva auspicato perfino una Banca di stato, invocando la nazionalizzazione di Carige.