Censis: Italia ferita e bloccata dall’incertezza, immigrati visti come un peso sul welfare
Un’Italia ferita dalla crisi economica ma soprattutto dallo sfiorire della ripresa, bloccata dall’incertezza per il futuro e dalla sensazione di non avere prospettive di crescita, individuali e collettive. E’ quella che emerge dal 52° Rapporto Censis, diffuso oggi.
Il 67% ora guarda il futuro con paura o incertezza
L’Italia è il Paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori: il 23%, contro una media Ue del 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania. Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita. E il 56% degli italiani dichiara che non è vero che le cose nel nostro Paese hanno iniziato a cambiare veramente. Il 67% è convinto che nessuno ne difende interessi e identità, devono pensarci da soli. E un altro 67% guarda il futuro con paura o incertezza. Rispetto al futuro, il 36% degli italiani è pessimista perché scruta l’orizzonte con delusione e paura, il 31% è incerto e solo il 33% è ottimista.
Il 63% degli italiani vede gli immigrati come un peso per il welfare
La delusione per lo sfiorire della ripresa e l’assenza di prospettive di crescita individuali e collettive hanno incattivito gli italiani, che vanno alla ricerca di un capro espiatorio. Il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi. Il 58% degli italiani pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 63% che rappresentano un peso per il nostro sistema di welfare e solo il 37% sottolinea il loro impatto favorevole sull’economia. Per il 75% l’immigrazione aumenta il rischio di criminalità. Cosa attendersi per il futuro? Il 59,3% degli italiani è convinto che tra dieci anni nel nostro Paese non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse.
Consumi ancora lontani dai livelli pre-crisi, ma spesa per cellulari è triplicata
Il potere d’acquisto delle famiglie italiane è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008. E i soldi restano fermi, preferibilmente in contanti. La forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è visibilmente allargata negli ultimi anni: nel periodo 2014-2017 le famiglie operaie hanno registrato un -1,8% in termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori un +6,6%. I consumi delle famiglie non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi (-2,7% in termini reali nel 2017 rispetto al 2007), ma la spesa per i telefoni è più che triplicata nel decennio (+221,6%): nell’ultimo anno si sono spesi 23,7 miliardi di euro per cellulari, servizi di telefonia e traffico dati.
Solo il 43% degli italiani pensa che l’appartenenza all’Ue abbia giovato all’Italia
L’Italia è il nono Paese esportatore al mondo, con una quota di mercato del 2,9% (il 3,5% se si considera solo il manifatturiero). E per la gran parte è diretto verso l’Europa (il 55,6% del valore dell’export). Ma oggi solo il 43% degli italiani pensa che l’appartenenza all’Ue abbia giovato all’Italia, contro una media europea del 68%: siamo all’ultimo posto in Europa, addirittura dietro la Grecia della troika e il Regno Unito della Brexit.
Nell’Unione europea vive il 6% della popolazione mondiale, si produce il 22% del Pil e l’euro è il secondo mezzo di pagamento negli scambi planetari. Tuttavia, ciò che emerge dall’analisi è il fallimento dei processi di convergenza. Tra i 19 Paesi aderenti all’euro, solo 7 hanno un rapporto debito/Pil inferiore al 60% come stabilito negli accordi di Maastricht, e degli altri 12 sono in 4 a presentare una quota superiore al 100%.
Emergenza lavoro tra bassi salari e disoccupazione giovanile
Tra il 2000 e il 2017 in Italia il salario medio annuo è aumentato solo dell’1,4% in termini reali. La differenza è pari a poco più di 400 euro annui, vale a dire 32 euro in più se considerati su 13 mensilità. Nello stesso periodo in Germania l’incremento è stato del 13,6%, quasi 5.000 euro annui in più, e in Francia di oltre 6.000 euro. Se nel 2000 il salario medio italiano rappresentava l’83% di quello tedesco, nel 2017 è sceso al 74% e la forbice si è allargata di 9 punti.
Tra il 2007 e il 2017 gli occupati con età compresa tra 25 e 34 anni si sono ridotti del 27,3%, cioè oltre un milione e mezzo di giovani lavoratori in meno. In dieci anni siamo passati da un rapporto di 236 giovani occupati ogni 100 anziani a 99. Mentre nel segmento più istruito i 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani del 2007 sono diventati appena 143. A rendere ancora più critica la situazione è il numero di giovani costretti a lavorare part time pur non avendolo scelto: 650.000 nel 2017, ovvero 150.000 in più rispetto al 2011.
L’Italia investe in istruzione e formazione il 3,9% del Pil, contro una media europea del 4,7%. Investono meno di noi solo Slovacchia (3,8%), Romania (3,7%), Bulgaria (3,4%) e Irlanda (3,3%). Tra il 2014 e il 2017 i laureati italiani di 30-34 anni sono passati dal 23,9% al 26,9%, ma nello stesso periodo la media Ue è salita dal 37,9% al 39,9%: ben 13 punti percentuali in più.