Con PA ritardataria bomba NPL da 12 miliardi per banche italiane. Mentre da ‘Ue arriva ‘il nein’ su piano bad bank europea
Quella dei ritardi dei pagamenti della PA è una questione tristemente nota in Italia, e anche da parecchio tempo: questione che ora rischia di dare una vera e propria mazzata ai conti delle banche italiane: tra i crediti a rischio che assillano i conti degli istituti, non ci sono infatti ‘soltanto’ quelli che sono stati erogati a famiglie e imprese, e che rischiano di non essere rimborsati, o perchè l’azienda ha chiuso i battenti o è in grave difficoltà finanziaria, o perchè la famiglia ha assistito a una distruzione del reddito, a causa della crisi del COVID-19, e dunque non si trova più nelle condizioni di onorare il debito. Tra i clienti degli istituti bancari c’è anche la PA, che nella crisi attuale non riesce anch’essa a ottemperare ai propri obblighi finanziari nei confronti delle banche.
“La Pa ritardataria diventa Npl in banca: mina da 12 miliardi”, scrive il Sole 24 Ore nell’edizione pubblicata oggi, rendendo noto che il governo è “al lavoro per disinnescare la bomba”.
Di cosa si tratta, per la precisione?
“Secondo le stime di Assifact – riporta il quotidiano di Confindustria – il rischio è che tra i 7 e i 12 miliardi di crediti alla Pubblica amministrazione acquistati dalle società di factoring e dalle banche possano improvvisamente finire in default nei loro bilanci”. Questo, a causa della nuova definizione europea di ‘default’, che si prevede diventerà operativa per tutte le banche europee dal prossimo 1° gennaio.
In base alla nuova normativa, spiega il Sole, una volta trascorsi “90 giorni dal mancato pagamento di un prestito con importo oltre una certa soglia (che diventano 180 se il debitore è la Pubblica amministrazione), una banca deve considerare quel credito scaduto”, dunque “insolvente”.
A quel punto scatta l’altra norma, quella del calendar provisioning, che impone alla banca di svalutare quel credito che ormai non sarà più rimborsato, fino a portarlo a zero in tre anni, in assenza di garanzie.
Ora, visti i ritardi storici con cui la Pubblica Amministrazione salda i propri debiti, il Sole avverte che “il rischio è che da gennaio venga considerato insolvente nei bilanci bancari un pezzo dello Stato italiano. Cioè una parte dei crediti verso la Pa che le banche acquistano tramite operazioni di factoring“.
La faccenda avrebbe tra l’altro ripercussioni anche sui BTP e sui BOT che sono presenti nei bilanci delle banche. Nel reputare insolvente la PA, dunque lo Stato, le banche si troverebbero nella scomoda posizione, nel caso in cui i pagamenti scaduti della Pa arrivassero a superare l’1% dell’intera esposizione di “considerare tutto lo Stato insolvente. E dunque anche i titoli di Stato (i BoT e i BTp) arriverebbero a ‘consumare capitale pari al 150%”.
Una vera e propria mina che le autorità italiane, in particolare il ministero dell’Economia e Bankitalia, starebbero cercando di disinnescare, lavorando su una normativa che è urgente finalizzare prima che le nuove regole sul default diventino realtà.
Il problema degli NPL è di per sé in cima alla lista delle preoccupazioni delle banche italiane e non. Se poi parte di questi crediti deteriorati è creata dallo Stato, la questione si fa più complicata perchè, di fatto, il ritardo dei pagamenti della Pubblica amministrazione è quasi proverbiale.
Del rischio NPL è tornato a parlare più volte il numero uno della Vigilanza bancaria della Bce, Andrea Enria, che, anche di recente, ha ripetuto che la bomba finale degli NPL, provocata dalla crisi scatenata dalla pandemia del coronavirus,potrebbe ammontare a ben 1,4 trilioni di euro e che la creazione di una bad bank europea comune sarebbe auspicabile.
Dalle pagine del Financial Times Elke König, presidente tedesca del Board del Meccanismo di Risoluzione (SRB) – che garantisce la risoluzione ordinata delle banche in difficoltà non solo non si è mostrata entusiasta verso l’idea di una bad bank ma ha anche in qualche modo manifestato una certa cautela nei confronti di un piano del genere.
A suo avviso, infatti, la soluzione migliore sarebbe che le banche facessero semplicemente bene i loro compiti, individuando i crediti a rischio e classificandoli, a seconda del rischio che non vengano rimborsati.
“Nell’intero dibattito (sulla bad bank), manca sempre la stessa cosa: “Chi è che pagherebbe il conto?” (per la creazione di una bad bank unica?) A volte – ha aggiunto Konig- si parla di questo (idea bad bank) come di un sistema magico”, uno in cui le perdite, improvvisamente, evaporerebbero. Ma questo, ha rimarcato all’FT, “non accadrà”.