Confcommercio: quasi un esercizio su tre fra quelli che hanno riaperto rischia la chiusura definitiva
A due settimane dall’avvio della Fase 2, delle quasi 800 mila imprese del commercio e dei servizi di mercato che sono potute ripartire, l’82% ha rialzato le saracinesche, il 94% nell’abbigliamento e calzature, l’86% in altre attività del commercio e dei servizi e solo il 73% dei bar e ristoranti, a conferma delle gravi difficoltà delle imprese impegnate nei consumi fuori casa.
Così rivela Confcommercio in un’indagine realizzata in collaborazione con SWG, secondo cui tra le misure di sostegno ottenute, il 44% delle imprese ha beneficiato di indennizzi, come il bonus di 600 euro, ma è ancora estremamente bassa la quota di chi ha ottenuto prestiti garantiti o fruito della cassa integrazione; e oltre la metà delle imprese stima una perdita di ricavi che va dal 50 fino ad oltre il 70%.
Per quasi il 30% delle imprese che hanno riaperto inoltre, rimane elevato il rischio di chiudere definitivamente a causa delle difficili condizioni di mercato, dell’eccesso di tasse e burocrazia, della carenza di liquidità.
I motivi della mancata riapertura
Essi riguardano soprattutto l’adeguamento dei locali ai protocolli di sicurezza sanitaria. In generale, tra le imprese che hanno riaperto, la gestione dei protocolli di igienizzazione-sanificazione e la riorganizzazione degli spazi di lavoro sono state condotte con successo e senza particolari difficoltà, sebbene nella seconda settimana emerga qualche problema aggiuntivo rispetto alla settimana precedente, a conferma dell’impressione che la voglia di riaprire implichi, in qualche caso, una comprensibile sottovalutazione di alcune difficoltà. “Il governo è consapevole della gravità della crisi e della necessità di fare presto” ha detto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, intervistato in tv a «In mezz’ora».