Confesercenti e l’alert salario minimo: ‘aumenti di legge rischiano di essere boomerang per occupazione’
Confesercenti lancia l’allarme sugli effetti che un’ eventuale introduzione del salario minimo (nuovo cavallo di battaglia del M5S di Luigi Di Maio, con tanto di aumenti di legge, potrebbe avere sulle piccole imprese. In una nota l’associazione lo scrive nero su bianco: a questo punto, meglio la flat tax (dell’altro vicepremier, il leader della Lega, Matteo Salvini). Le ripercussioni del salario minimo potrebbero essere (infatti) tali da portare alcune aziende anche a decidere di tagliare la forza lavoro, a causa dei maggiori oneri che si troverebbero a sostenere.
Così nel comunicato:
“Gli aumenti ‘di legge’ previsti dal salario minimo potrebbero mettere in grave difficoltà migliaia di piccole imprese. In particolare, nel commercio, aprire la porta ad aggravi automatici del costo del lavoro rischia di essere un boomerang per l’occupazione: la coperta è corta, molte attività sono già in una situazione limite e potrebbero scegliere di ridurre la forza lavoro a fronte di ulteriori oneri. Bene dunque la proposta, avanzata dal Governo, di immaginare un meccanismo per salvaguardare le PMI prevedendo per loro un ‘intervento a costi invariati’.
La nota precisa che, secondo le stime di Confesercenti, “il salario minimo si trasformerebbe, per commercio e turismo, in un aumento di circa 1 miliardo di euro al lordo delle tasse solo per portare i minimi tabellari a 9 euro. Calcolando anche gli effetti a ‘cascata’ dovuti alla scala parametrale, l’incremento di costi per le imprese del settore servizi arriverebbe a circa 7 miliardi di euro. Una batosta insostenibile per le attività di minori dimensioni”.
L’associazione è d’accordo sul fatto che i “casi di sfruttamento del lavoro” siano “inaccettabili” e che debbano dunque “essere combattuti con forza”. Ma non si può neanche pensare che l’introduzione del salario minimo risolvi la questione. Questi casi, infatti, “non spariranno con l’arrivo del salario minimo. Servono invece misure mirate per contrastare le irregolarità ed il dumping contrattuale generato dai contratti pirata, siglati al ribasso – anche in termini di diritti e di tutele dei lavoratori – da associazioni non rappresentative. Un fenomeno che il salario minimo non risolve, rischiando invece di danneggiare la buona contrattazione collettiva ed i lavoratori: i CCNL prevedono altri benefici oltre al salario puro, come l’assistenza sanitaria ed il welfare contrattuale, che potrebbero saltare”.
In sintesi, “l’obiettivo di garantire il reddito dei lavoratori è condivisibile, ma per raggiungerlo sarebbe più equo e sostenibile tagliare le tasse sui redditi più bassi. Siamo convinti che occorra mettere più soldi nelle tasche di chi lavora, in particolare dei salari medi, quelli che hanno più sofferto durante la crisi. E anche che l’esigenza di garantire dignità a chi lavora – dipendenti e imprenditori – sia un principio sacrosanto. Per far questo però dobbiamo far ripartire la contrattazione, non cancellarla: diciamo dunque sì, con convinzione, alla proposta di una flat tax sugli aumenti salariali al di sopra dei minimi contrattuali. Secondo le nostre stime, una detassazione degli incrementi retributivi per tre anni potrebbe lasciare nelle tasche degli italiani 2,1 miliardi all’anno. Risorse che porterebbero ad una spinta di 1,7 miliardi di euro di maggiori consumi”.
CONFESERCENTI: LA CRISI DEL COMMERCIO NON E’ MAI FINITA
Nella giornata di ieri Confesercenti ha emesso un altro comunicato, mettendo in evidenza la continua frenata dei consumi.
Inquietante la frase con cui è sembrata pronunciare una condanna: “La crisi del commercio non è mai finita”. “Dopo la debole ‘ripresina’ degli anni scorsi, la spesa delle famiglie è tornata a frenare. Se non ci saranno inversioni di tendenza, il 2019 si chiuderà con una flessione del -0,4% delle vendite, per oltre un miliardo di euro in meno rispetto al 2018: il risultato peggiore degli ultimi quattro anni”.
“A pesare è il mancato recupero della spesa delle famiglie italiane, che sono oggi costrette a spendere annualmente 2.530 euro in meno che nel 2011. Una sofferenza non limitata alle sole aree più povere del paese: le famiglie lombarde hanno ridotto i loro consumi del 3,5%, quelle venete del 4,4%, poco meno di quanto avvenuto in Calabria, dove la contrazione è stata del 4,8%. Lo stop della spesa ha inoltre portato ad riorientamento delle scelte di consumo verso quei canali dove più esasperata è la concorrenza di prezzo, come web e outlet”.
“L`impatto sul commercio è stato devastante – ha fatto notare l’associazione – Ormai quasi un’attività commerciale indipendente su due chiude i battenti entro i tre anni di vita. Oggi, rispetto al 2011, ci sono 32mila negozi in meno, un’emorragia che ha portato a bruciare almeno 3 miliardi di euro di investimenti delle imprese. E quest’anno stimiamo che spariranno ancora più di 5mila attività commerciali, al ritmo di 14 al giorno.
CDosì ha commentato la situazione Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti:
“Le difficoltà del commercio, in particolare dei piccoli, sembrano ormai strutturali. C`è bisogno di un intervento urgente per fronteggiarla: chiederemo al governo di aprire un tavolo di crisi. Se si pensa che, in media, ogni piccolo negozio che chiude crea due disoccupati, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una crisi aziendale gravissima, anche se nessuno sembra accorgersene. Persino il commercio su aree pubbliche è in difficoltà, messo a terra da un caos normativo che ha accelerato la marginalizzazione dei mercati e il dilagare dell’abusivismo. Non è un problema dei soli commercianti: gli effetti collaterali della crisi del settore si estendono anche alla dimensione sociale e urbana. La tradizionale rete di vendita aiuta a dare identità ad un luogo e rende maggiormente attrattive le aree urbane. Per le quali il commercio è un settore economicamente significativo, che contribuisce a produrre reddito locale ed occupazione”.
Insomma, in questo contesto “è necessaria un’azione organica, ad ampio spettro, per restituire capacità di spesa alle famiglie e per accompagnare la rete commerciale nella transizione al digitale, creando le condizioni per una leale competizione con il canale Web, Serve formazione continua per gli imprenditori, ma anche sostegno agli investimenti innovativi ed un riequilibrio fiscale che consenta una concorrenza alla pari tra offline e online. Apprezziamo le iniziative di confronto con le parti sociali annunciate dal governo: siamo pronti a fornire il nostro contributo sotto il profilo dell’analisi e dei possibili interventi. Per questo siamo in attesa degli incontri con le parti sociali proposti dal Governo, che riteniamo positivi ed utili: l’auspicio, però, – ha concluso la Presidente di Confesercenti – è che si tratti di incontri sostanziali e non formali. Le nostre emergenze sono concrete e ci attendiamo risposte concrete”.