Confindustria: in Italia mancano investimenti e credito. Il caro petrolio è un freno al PIL
Nel quarto trimestre 2019 persiste una sostanziale stagnazione in Italia con l’industria ancora in difficoltà, l’export che cresce a fatica e i consumi che appaiono ancora deboli. Così lo scenario dell’Italia descritto nella Congiuntura flash relativa a gennaio 2020 del Centro Studi di Confindustria secondo cui per la crescita tricolore mancano investimenti e credito.
Sullo sfondo i mercati extra-Ue che rimangono cruciali ma crescono anche i rischi. Da settimane a catalizzare l’attenzione mondiale sono le tensioni geo-politiche internazionali con epicentro in Libia ed Iran, coinvolgendo l’Iraq. Trattandosi di tre importanti produttori petroliferi, ciò potrebbe determinare ripercussioni sull’economia di molti paesi dipendenti dall’import di energia, compresa l’Italia. Tale situazione, sottolinea il Centro Studi di viale dell’Astronomia, nell’immediato alimenta l’incertezza.
Il caro petrolio frenerebbe il PIL
Un’energia più costosa – si legge nella Congiuntura – sottrae risorse a famiglie e imprese nei paesi importatori, come l’Italia, frenando la dinamica di consumi e investimenti. In base alle simulazioni effettuate con il modello econometrico CSC, un prezzo del petrolio a 70 dollari nel 2020 (dai 63 previsti in precedenza) avrebbe un impatto sul PIL in Italia di -0,1% all’anno. Se il Brent arrivasse a 80 dollari invece, sulla scia di una crisi più acuta, il PIL potrebbe perdere lo 0,2%, erodendo la crescita già anemica.
Le conseguenze in Italia dell’escalation militare
Per ora le conseguenze economiche sono contenute, ma in caso di escalation militare i rischi sarebbero elevati. Secondo il CsC in particolare, seri problemi potrebbero nascere se l’instabilità conducesse all’interruzione dell’estrazione di petrolio in giacimenti di Iraq, Libia e Iran. Nel 2019 l’import di greggio che prima proveniva dall’Iran è stato sostituito in Italia, in gran parte, proprio con quello iracheno, arrivato a contare il 20%: se si infiammasse anche l’Iraq sarebbe difficile trovare rapidamente altri fornitori.
Lo scenario peggiore, afferma il CsC, è quello del blocco delle forniture petrolifere che passano dallo stretto di Ormuz, già minacciato in passato: nel 2019, il 27% del petrolio importato dall’Italia proveniva dai paesi che si affacciano su tale stretto.
Ciò potrebbe creare problemi anche per i volumi di approvvigionamento di petrolio, oltre che per il prezzo. L’Italia comunque potrebbe essere la piattaforma logistica naturale per nuove rotte commerciali nel Mediterraneo, verso Nord Africa e Medio Oriente (MENA), a beneficio delle nostre imprese. Già oggi sono forti i legami economici con tale area. L’Italia detiene una quota di mercato del 5,3%, posizionandosi al 4° posto come fornitore dei MENA dopo Cina, USA e Germania e i paesi MENA nel complesso rappresentano il nostro 2° mercato di destinazione, sia in termini di presenza di PMI esportatrici, che di valore delle merci vendute.
Ma, conclude il CsC, solo una stabilizzazione di Iran e Libia e di altri paesi dell’area può sbloccare nuove opportunità per l’economia.