Dall’open innovation all’innovation manager: le imprese puntano sul digital, investimenti ancora in crescita
Le imprese italiane continuano a puntare sul digitale. Lo confermano i trend positivi sul fronte degli investimenti nel digital, ancora in crescita per il quarto anno consecutivo. E anche nel 2020 il budget ICT dovrebbe mostrare in media una crescita tra il 2,8% e il 2,9%, trainato dalle grandi imprese, che prevedono un incremento nel 45% dei casi, mentre solo il 23% delle Pmi destinerà più risorse. Spazio anche alla figura dell’innovation manager, chiamato ad affrontare la scarsa propensione al cambiamento presente in molte aziende. Queste alcune tendenze contenute nell’ultima ricerca degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con PoliHub, presentata questa mattina al convegno “Innovazione Digitale 2020: imprese e startup verso l’open company”.
Imprese sempre più aperte all’innovazione: dallo studio emerge che il 73% ha avviato iniziative di Open Innovation e circa i due terzi hanno attivato collaborazioni con startup (35%) o hanno in programma di farlo (27%). Uno scenario che vede ancora in ritardo le Pmi, fra le quali solo il 28% adotta pratiche di innovazione aperta e appena il 4% lavora insieme alle nuove imprese innovative.
Ma quali sono le principali fonti di innovazione? Quelle registrate negli ultimi tre anni sono piuttosto tradizionali: i top manager (43%), le funzioni aziendali (39%), i fornitori di soluzioni ICT (39%) e le società di consulenza (30%), mentre è ancora limitato l’utilizzo di unità di ricerca e sviluppo (20%), startup (14%), centri di ricerca (19%) e aziende non concorrenti (4%). Guardando invece alla tendenza del prossimo triennio, alcune fonti tradizionali si ridurranno (top management, società di consulenza, fornitori di soluzioni ICT), e ci si rivolgerà di più ai nuovi interlocutori, come le unità ricerca e sviluppo (+15%), università e centri di ricerca (+32%), startup (+83%) e aziende non concorrenti (+106%).
C’è poi al centro dell’attenzione la figura professionale dell’Innovation Manager che entra nelle aziende, con oltre il 30% delle grandi imprese che ha già creato un ruolo o una direzione Innovazione. Su questo fronte si è mosso anche il ministero dello Sviluppo Economico (Mise) che ha introdotto un albo dedicato a questa professione e un voucher a fondo perduto per le Pmi. Una misura importante, anche se i 75 milioni di euro complessivamente stanziati permetterebbero di sostenere non più di 2000 imprese: oggi ne è a conoscenza appena il 32% delle Pmi e fra queste soltanto l’11% ha intenzione di usufruirne.
Secondo l’identikit tracciato dai responsabili innovazione, le mansioni principali dell’Innovation manager sono valutare e selezionare nuove opportunità di innovazione di potenziali partner come startup e centri di ricerca, gestire il portafoglio dei progetti di innovazione e il relativo budget, favorire il cambiamento culturale, introdurre nuovi modelli organizzativi.
Per quanto riguarda il capitolo startup, oltre sei grandi aziende su dieci vedono nelle startup un interlocutore per lo sviluppo di innovazione digitale. In particolare, il 35% già collabora con nuove imprese innovative, il 27% ha intenzione di farlo in futuro, mentre il 34% non manifesta interesse per il tema e il 4% ha collaborato in passato. Nella maggior parte dei casi le grandi imprese si servono di startup come fornitori spot (51%), ma una buona parte le usa come unità di ricerca e sviluppo (37%) e come fornitore di lungo periodo (30%). La startup può essere anche un partner commerciale, parte di un programma di incubazione, partner per la cocreazione di modelli di business.