DEF al vaglio di Bankitalia, Istat e Upb: scenario macroeconomico complessivamente condivisibile
Il DEF sotto la lente di Istat, Bankitalia e dell’Ufficio Parlamentare di bilancio. Una giornata ricca di audizioni quella odierna dinanzi alle Commissione Bilancio congiunte di Camera e Senato e che ha visto protagonista il Documento di economia e finanza stilato dal governo.
Istat: verosimile l’ipotesi di crescita allo 0,2% nel 2019
Prima il presidente dell’Istat Blangiardo ha giudicato “verosimile” l’ipotesi di una crescita allo 0,2% nel 2019, come stimato dal governo proprio nel Def. Il Documento di Economia e Finanze, “riprende le elaborazioni presentate dall’Istat sui possibili beneficiari del reddito di cittadinanza evidenziando il numero di persone che potrebbero transitare come nuova forza di lavoro”, ossia 900mila beneficiari con obbligo di sottoscrizione del patto per il lavoro di cui circa 400 mila, come ha stimato l’istituto nazionale di statistica, sarebbero attualmente inattivi, mentre circa 500mila risulterebbero già tra le file delle persone in cerca di occupazione. Inoltre l’Istat fa il punto sulla riduzione del carico fiscale sulle imprese, per cui “sono attesi generare una riduzione del prelievo fiscale per le imprese pari a 2,2 punti percentuali”, e questo soprattutto nei settori a medio-bassa intensità tecnologica (-2,9%), per le imprese di medie dimensioni e le multinazionali (-2,8% per entrambe le tipologie).
Il governo ha fissato un obiettivo di deficit al 2,1% del Pil nel 2020, impegnandosi a trovare coperture alternative all’aumento di Iva e accise. A ottobre l’esecutivo deciderà concretamente come provare a disinnescare le clausole di salvaguardia. Il presidente dell’Istat Blangiardo ha portato in Parlamento una simulazione di cosa succederebbe ai prezzi e ai consumi in caso di una mancata disattivazione di tali clausole per il 2020. “Ipotizzando un immediato trasferimento di tutto l’incremento d’imposta sul fronte dei prezzi”, ha detto Blangiard, “l’effetto sui prezzi sarebbe intorno a 2 punti percentuali e costante nei mesi successivi”. L’Istat conclude che “l’incremento dei prezzi porterebbe a un effetto depressivo sui consumi che, nel quadro delineato, potrebbe essere nell’ordine di 0,2 punti percentuali”.
Bankitalia: scenario complessivamente condivisibile ma occhio ai rischi
Ha colto alcuni segnali favorevoli nel primo trimestre e ha definito “lo scenario macroeconomico presentato nel Def complessivamente condivisibile” il capo economista della Banca d’Italia, Eugenio Gaiotti secondo cui restano comunque “rischi rilevanti, che possono provenire da un peggioramento del contesto globale e da un più accentuato deterioramento della fiducia delle imprese”. Tra questi rischi di tenuta dei conti c’è in cima la necessità di coprire gli aumenti automatici dell’Iva. Senza includere nei saldi di bilancio i 23,1 miliardi attesi dall’aumento di Iva e accise, dice Eugenio Gaiotti, il deficit si collocherebbe meccanicamente al 3,4% del Pil nel 2020, al 3,3% nel 2021 e al 3% nel 2022. Se questo venisse fatto in deficit, ovvero chiedendo prestiti al mercato, “il disavanzo si collocherebbe meccanicamente al 3,4% del prodotto nel 2020, al 3,3% nel 2021 e al 3% nel 2022”. Il DEF, annota Bankitalia, “rimanda alla prossima legge di Bilancio la definizione di ‘misure alternative di copertura‘”, tuttavia “non fornisce informazioni di dettaglio”. Via Nazionale poi non dimentica il rischio spread e Gaiotti stima che un aumento permanente dello spread pari a 100 punti base, come quello attuale, riduce la crescita di “0,1 punti percentuali dopo un anno e a 0,7 dopo tre”.
Upb: cautela nelle previsioni, forti rischi al ribasso
Nel dettaglio circa 2 miliardi (1,8) per gli investimenti e circa 23 miliardi se non si vogliono fare scattare gli aumenti Iva: queste le cifre che individua l’Ufficio parlamentare di bilancio, durante la sua audizione. “Nel caso estremo in cui l’indebitamento netto tendenziale accresciuto degli effetti delle politiche invariate non sia finanziato attraverso l’attivazione delle clausole e la manovra prevista dal Def e il debito non si riduca per effetto degli introiti da privatizzazioni – afferma il presidente Giuseppe Pisauro – si avrebbe un aumento del debito, che si attesterebbe al 134,7 per cento nel 2021 e al 135,4 per cento nel 2022”. Esclusi i proventi delle privatizzazioni che l’Upb ritiene “di difficile realizzazione”, il debito pubblico in rapporto al Pil “continuerebbe a salire anche dopo il 2019 per arrivare sopra il 135 per cento nel 2022 dal 132,2 per cento del 2018”. Anche l’Ufficio parlamentare di Bilancio ha validato il quadro macroeconomico programmatico contenuto nel Def, le cui previsioni sono “nel complesso coerenti” con quelle del panel dell’Autorità dei conti pubblici. Tuttavia, “lo scenario macroeconomico a medio termine dell’economia italiana resta condizionato da forti rischi, prevalentemente orientati al ribasso, che inducono cautela nelle previsioni”. L’Upb inoltre si sofferma a parlare anche della riforma fiscale e dell’avvento della flat tax che “si prefigura come un puzzle complesso” e che richiederà “una chiara definizione delle priorità politiche, una attenta riflessione sul disegno delle politiche stesse per evitare effetti distorsivi sull’economia e un’adeguata trasparenza delle dinamiche redistributive insite nelle misure da adottare”.