Draghi ritorna su differenza tra debito buono e debito cattivo. E rimarca importanza politica bilancio anticiclica
Il presidente del Consiglio Mario Draghi torna a parlare della differenza tra “debito buono” e “debito cattivo”, e lo fa in occasione di un intervento all‘Accademia dei Lincei.
Draghi affronta diverse questioni che interessano l’economia italiana, l’Unione europea, l’occasione storica rappresentata dal Next Generation EU, dimostrando anche di non farsi incantare dai dati più rassicuranti che arrivano dal fronte sanitario:
“La campagna di vaccinazione procede spedita, in Italia e in Europa. Dopo mesi di isolamento e lontananza, abbiamo ripreso gran parte delle nostre interazioni sociali. L’economia e l’istruzione sono ripartite. Dobbiamo però essere realistici. La pandemia non è finita. Anche quando lo sarà, avremo a lungo a che fare con le sue conseguenze. Una di queste è il debito – l’argomento della mia lezione di oggi”.
Draghi ha parlato di debito in relazione alla funzione che può espletare per dare una spinta alla crescita. A sua volta, la crescita è uno strumento per riuscire a contenere il debito.
Draghi: crescere di più anche per contenere aumento debito
“Dobbiamo crescere di più anche per contenere l’aumento del debito. Se portiamo il tasso di crescita strutturale dell’economia oltre quello che avevamo prima della crisi sanitaria, saremo in grado di aumentare le entrate fiscali abbastanza da bilanciare l’aumento del debito che abbiamo emesso durante la pandemia. Potremo inoltre creare domanda aggiuntiva per le aziende, riducendo il rischio di default e dunque il costo dei programmi di garanzie statali sui debiti d’impresa. Sono obiettivi non solo auspicabili, ma anche raggiungibili. Come ho detto in precedenza, in questi due anni, il debito pubblico in Europa e in Italia è aumentato di circa 20 punti percentuali di prodotto interno lordo. Anche se utilizziamo un tasso d’interesse prudenzialmente alto, pari a 2,5%, il costo annuo di questo debito risulta essere pari a circa mezzo punto percentuale di reddito nazionale l’anno. Siccome le entrate del governo ammontano in Italia e in Europa a circa il 40-50% del PIL, è sufficiente incrementare il tasso di crescita strutturale di 1-1,25 punti percentuali per coprire il costo del debito degli ultimi due anni”.
Debito: argomento onnipresente quando si parla dell’economia italiana, visto il rapporto debito/Pil monstre che l’Italia presentava ben prima dell’esplosione della pandemia. Il salto di qualità che tuttavia Draghi ha compiuto è stato l’aver individuato la differenza tra il debito buono, per l’appunto, e il debito cattivo. Inevitabile il paragone tra la crisi economia odierna e quella del 2011, che aveva visto l’Italia triste protagonista insieme alla Grecia della crisi dei debiti sovrani dell’area euro.
Della duplice natura del debito, Draghi aveva parlato anche di recente, in occasione della presentazione dei numeri del Def:
“Il debito buono è quando si danno risorse a una società, in modo che questa riesca a fare riforme tali da diventare autonoma, e iniziare a volare con le proprie ali. Il debito cattivo è fatto di quei sussidi che vengono erogati senza che ci sia un piano industriale“.
Sulla questione, Draghi è ritornato per l’appunto oggi, affermando che “oggi è quindi giusto indebitarsi”, ma puntualizzando, anche, che “questo non è sempre vero”.
Debito buono vs debito cattivo: Draghi ritorna sulla differenza
“Questo mi porta a una distinzione a cui avevo accennato qualche mese fa, tra quello che chiamo “debito buono” e quello che chiamo “debito cattivo” – ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi nel discorso proferito oggi all’Accademia dei Lincei – Ciò che rende il debito buono, o cattivo, è l’uso che si fa delle risorse impiegate. Questa distinzione è particolarmente importante in una fase di transizione come quella attuale, in cui possono essere più marcate le differenze di produttività tra i progetti in cui è possibile investire”.
Draghi ha continuato:
“Il debito può rafforzarci, se ci permette di migliorare il benessere del nostro Paese, come è avvenuto durante la pandemia. Ci può rendere più fragili se, come troppo spesso è accaduto in passato, le risorse vengono sprecate. Il debito può unirci, se ci aiuta a raggiungere il nostro obiettivo di prosperità sostenibile, nel nostro Paese e in Europa. Ma il debito ci può anche dividere, se solleva lo spettro dell’azzardo morale e dei trasferimenti di bilancio, come ha fatto dopo la crisi finanziaria. Si pensi, ad esempio, al debito comune che finanzia il Next Generation EU. Il nostro Paese è il principale beneficiario di questo programma e ha dunque un’enorme responsabilità per la sua riuscita. Se sapremo utilizzare queste risorse in maniera produttiva e con onestà non aiuteremo soltanto l’economia italiana. Rafforzeremo anche la fiducia all’interno dell’Unione Europea, contribuendo in maniera decisiva al processo di integrazione”.
“Più in generale – ha continuato l’ex numero uno della Bce Mario Draghi nel suo intervento all’Accademia dei Lincei – tra i modi di utilizzare il debito pubblico che lo qualificano come debito buono ci sono:
- Il debito che serve a finanziare investimenti pubblici ben mirati.
- Il debito che permette di assorbire gli shock esogeni come la difesa da una guerra o, appunto, una pandemia.
- Il debito utilizzato per fare politica anticiclica.
Draghi riprende come esempio crisi del 2011
“La politica di bilancio anticiclica è particolarmente importante in un’unione monetaria, perché la politica monetaria non può rispondere da sola agli shock isolati che colpiscono un Paese. Lo è ancora di più oggi, quando la vicinanza dei tassi d’interesse al loro limite inferiore effettivo riduce la capacità della BCE di sostenere autonomamente la domanda aggregata. Tuttavia, non tutti i Paesi della zona euro sono ugualmente in grado di utilizzare la politica di bilancio come strumento di stabilizzazione. Il debito sovrano che non è considerato sicuro lo consente solo in parte, perché la sua emissione può comportare tassi d’interesse più elevati. Solo i debiti di alcuni Paesi vengono infatti considerati completamente privi di rischi dai mercati. Questi possono emettere tutto il debito necessario per contrastare il calo della domanda privata durante una crisi senza provocare un aumento dei tassi d’interesse”.
“Un esempio è quanto avvenuto durante la crisi del 2011 – ha ricordato Mario Draghi – Il debito pubblico di alcuni Paesi come l’Italia non è stato ritenuto sicuro dagli investitori proprio quando i governi avevano bisogno di emetterlo per rispondere alla crisi. Lo spazio fiscale per questi Paesi si è ridotto proprio quando ne avevano più bisogno perché i loro tassi d’interesse sono aumentati. Negli ultimi anni, la BCE ha sopperito a questo problema grazie a una politica monetaria espansiva, giustificata dal fatto che l’inflazione nel medio periodo continuava ad essere molto più bassa del suo obiettivo primario. Ciò ha evitato che le economie cadessero in un circolo vizioso, come quello del 2011, dove la mancanza di sicurezza nel debito pubblico generava aumenti nei tassi d’interesse che inducevano i governi ad attuare politiche restrittive nel tentativo di guadagnare credibilità. La crescita ne risentiva, la credibilità in questi Paesi diminuiva e i tassi continuavano ad aumentare. Ad oggi, il tasso d’inflazione all’interno della zona euro continua a rimanere basso e a richiedere una politica monetaria accomodante. Tuttavia, in futuro queste circostanze potrebbero non ripetersi se le aspettative di inflazione dovessero eccedere in maniera duratura l’obiettivo statutario della BCE. A livello europeo dobbiamo dunque ragionare su come permettere a tutti gli Stati membri di emettere debito sicuro per stabilizzare le economie in caso di recessione. La discussione sulla riforma del Patto di Stabilità, per ora sospeso fino alla fine del 2022, è l’occasione ideale per farlo”.
“Una risposta credibile a questo problema – ha continuato il presidente del Consiglio – consentirebbe di migliorare la capacità della zona euro di rispondere alle crisi e allo stesso tempo rafforzerebbe ulteriormente l’indipendenza della BCE. Una politica fiscale espansiva non è in contrasto con la graduale discesa del rapporto tra debito e prodotto interno lordo necessaria nel medio periodo per ridurre le fragilità di una sovraesposizione. Occorre però sollevare lo sguardo dall’orizzonte della macroeconomia per riflettere sulla profonda trasformazione che le nostre società si apprestano ad affrontare. La transizione energetica, la consapevolezza dell’importanza della ricerca e il percorso che porterà le generazioni future verso gli obiettivi del 2030 e del 2050 attribuiscono allo Stato un ruolo attivo che è cruciale. Non solo nella costruzione di infrastrutture chiave nella ricerca e nello sviluppo. Ma soprattutto nel catalizzare gli investimenti privati nelle aree di priorità. Dando fiducia. Semplificando le procedure. Aiutando le imprese a gestire il rischio in aree nuove. Disegnando politiche di decarbonizzazione trasparenti e condivise tra Paesi”.
Per finire, in vista dell’arrivo dei fondi del Next Generation EU successivo all’approvazione del PNRR da parte della Commissione europea, il premier ha rimarcato che “per l’Italia, questo è un momento favorevole”.
“Le certezze fornite dall’Europa e dalle scelte del governo – ha concluso – la capacità di superare alcune di quelle che erano considerate barriere identitarie, l’abbondanza di mezzi finanziari pubblici e privati sono circostanze eccezionali per le imprese e le famiglie che investiranno capitali e risparmi in tecnologia, formazione, modernizzazione. Ma è anche il momento favorevole per coniugare efficienza con equità, crescita con sostenibilità, tecnologia con occupazione. È un momento in cui torna a prevalere il gusto del futuro. Viviamolo appieno, con determinazione e con solidarietà”.