E’ Great Resignation italiana: 1 lavoratore su 2 è pronto a cambiare, solo 1 su 10 sta bene dove è
Il mercato del lavoro sta cambiando profondamente, ma ancora le aziende non se ne sono accorte. Per il 44% delle imprese la propria capacità di attrarre candidati è notevolmente diminuita. A preoccupare anche le difficoltà in termini di capacità di motivare, coinvolgere e trattenere le persone già presenti al loro interno. Nell’ultimo anno il tasso di turnover è aumentato per il 73% delle aziende.
Il fenomeno della Great Resignation, ovvero della Grande Dimissione, che sta caratterizzando il mercato del lavoro negli Stati Uniti, sta interessando anche l’Italia: il 45% degli occupati dichiara di aver cambiato lavoro nell’ultimo anno o di avere intenzione di farlo da qui a 18 mesi. Numeri che crescono per i giovani (18-30 anni), per determinati settori (ICT, Servizi e Finance) e per alcuni profili (professionalità digitali).
Tra le persone che hanno cambiato lavoro, 4 su 10 lo hanno fatto senza un’altra offerta di lavoro al momento delle dimissioni. Chi cambia lavoro lo fa principalmente per cercare benefici economici (46%), opportunità di carriera (35%), per una maggiore salute fisica o mentale (24%) o per inseguire le proprie passioni personali (18%) o una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (18%).
Ma emergono anche altri elementi di malessere sul lavoro. Analizzando tre dimensioni del benessere lavorativo (fisica, sociale e psicologica), solo il 9% degli occupati dichiara di stare bene in tutte e tre. L’aspetto più critico è quello psicologico: 4 su 10 hanno avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere emotivo. Preoccupazioni che si riflettono anche sullo stato fisico, con difficoltà a riposare bene e/o insonnia (55%).
Questo malessere, però, sembra quasi totalmente sconosciuto alle aziende, che solo nel 5% dei casi lo considerano un aspetto problematico. A questo si accompagna una diminuzione del livello di engagement: rispetto al 2021 i lavoratori pienamente “ingaggiati” passano da un già basso 20% a un preoccupante 14%. E solo il 17% delle persone si sente incluso e valorizzato all’interno dell’organizzazione.
Questo è ciò che emerge dalla ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi durante il convegno “Riconquistare le persone ai tempi delle Grandi Dimissioni: alla ricerca dell’equilibrio perduto”.
“Le dimissioni in Italia sono lo specchio di due fenomeni correlati – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice -: il crescente malessere dei lavoratori, spesso non adeguatamente identificato dalle organizzazioni, e la volontà di dare un nuovo significato al lavoro, per cui molte persone oggi cambiano anche a condizioni economiche inferiori, per seguire passioni e interessi personali o conseguire maggiore flessibilità”.
Di minor rilievo, rispetto a quanto documentato in altri paesi come gli Stati Uniti, è invece il desiderio di abbandonare del tutto il mondo del lavoro, indicato in Italia come ragione di possibili dimissioni solo dal 6% dei lavoratori.
In questo quadro che sta mettendo in crisi il mercato del lavoro e i tradizionali modelli organizzativi è fondamentale, secondo Corso, il ruolo della Direzione HR, a cui si richiede una funzione guida per portare l’organizzazione a un modello di lavoro “sostenibile”, che metta “al centro il benessere dei lavoratori, il loro coinvolgimento e la loro impiegabilità”.