Notiziario Notizie Italia Imprese: 29 mld di ristori contro perdite per 423 mld, rischio valanga chiusure

Imprese: 29 mld di ristori contro perdite per 423 mld, rischio valanga chiusure

18 Gennaio 2021 08:57

I ristori finora erogati dal governo alle imprese per la crisi pandemica coprono sì e no il 7% delle perdite subite. A calcolarlo è l’Ufficio studi della CGIA, che lancia l’allarme sul rischio chiusura nei prossimi mesi con consegunte perdita di posti di lavoro. Secondo i suoi calcoli infatti, i 29 miliardi di euro di aiuti diretti erogati alle attività economiche, sebbene in termini assoluti rappresentino una somma importante, sono stati del tutto insufficienti a lenire le difficoltà subite dagli imprenditori. Se, infatti, si confrontano questi 29 miliardi alla stima riferita alle perdite di fatturato registrata dalle imprese, che sfiora i 423 miliardi di euro, il tasso di copertura è stato pari a poco meno del 7% circa: un’incidenza risibile. E in attesa dei nuovi ristori previsti nei prossimi giorni, l’arrabbiatura e il malessere tra gli operatori economici sono sempre più diffusi, in particolar modo tra coloro che conducono attività di piccola dimensione.

 

Circa 200 miliardi le perdite in capo a chi ha chiuso
La CGIA precisa comunque che per le imprese che hanno subito i contraccolpi più negativi della crisi, ovvero quelle che hanno dovuto chiudere per decreto, i ristori erogati dall’esecutivo hanno raggiunto un livello medio di copertura del calo del fatturato del 14,5% circa. Le misure di sostegno al reddito approvate dal governo Conte, infatti, sono andate in larghissima parte alle attività che hanno registrato un crollo del giro di affari di almeno il 33% rispetto al 2019. L’Ufficio studi della CGIA, infatti, stima che dei quasi 423 miliardi di riduzione del fatturato registrata nel 2020, almeno 200 miliardi sarebbero ascrivibili alle imprese dei settori che sono stati costretti a chiudere per decreto. Resta il fatto che anche per queste realtà gli aiuti economici sono stati insufficienti.

La voce più importante di quesi 29 miliardi erogati è stata quella dei contributi a fondo perduto che ammonta a 11,3 miliardi di euro. Seguono altri interventi che assommano a 7,9 miliardi e la cancellazione del saldo 2019 e dell’acconto 2020 dell’Irap che ha consentito uno sgravio di 3,9 miliardi. Le agevolazioni fiscali per le sanificazioni e i canoni di locazione hanno permesso un risparmio pari a 5,1 miliardi, mentre la cancellazione dell’Imu e della Tosap/Cosap ha garantito una riduzione della tassazione locale pari a 802 milioni di euro.

 

A rischio 292mila micro imprese con 1,9 milioni di lavoratori
Secondo l’ultima indagine realizzata dall’Istat – condotta su un campione di quasi 1 milione di imprese con oltre 12 milioni di addetti che, nel complesso, rappresentano quasi il 90% del valore aggiunto e circa tre quarti dell’occupazione complessiva delle imprese dell’industria e dei servizi – sono quasi 292 mila le attività che si trovano in una situazione di crisi profonda. Attività che danno lavoro a quasi 1,9 milioni di addetti e producono un valore aggiunto che sfiora i 63 miliardi di euro. Il numero medio di addetti per impresa di questa categoria così in difficoltà è pari a 6,5. Micro imprese che, pesantemente colpite dall’emergenza sanitaria, non hanno adottato alcuna strategia di risposta alla crisi e, conseguentemente, sono a rischio chiusura.

Sempre da questa indagine emerge che i settori produttivi più coinvolti da queste 292 mila attività sono il tessile, l’abbigliamento, la stampa, i mobili e l’edilizia. Nel settore dei servizi, invece, spiccano le difficoltà della ristorazione, degli alloggi, del commercio dell’auto e altri comparti come il commercio al dettaglio, il noleggio, i viaggi, il gioco e lo sport.

 

“E’ necessario uno stanziamento pubblico che compensi quasi totalmente sia i mancati incassi sia le spese correnti che continuano a sostenere – sostiene la CGIA – La stessa cosa va definita anche per i settori che seppur in attività è come se non lo fossero”. Come le imprese commerciali ed artigianali nelle città d’arte che hanno subito il tracollo delle presenze turistiche straniere, o il trasporto pubblico locale non di linea (taxi, bus operator e autonoleggio con conducente) che sebbene in servizio hanno i mezzi fermi nelle rimesse o nei posteggi. “E’ vero che questa ulteriore spesa corrente contribuirebbe ad aumentare il debito pubblico, ma è altrettanto vero che se non salviamo le imprese e i posti di lavoro, non poniamo le basi per far ripartire la crescita economica che rimane l’unica possibilità in grado di ridurre nei prossimi anni la mole di debito pubblico che abbiamo spaventosamente accumulato con questa crisi”, conclude la CGIA.