Imprese: segnali di rallentamento, si teme lo spread. Cosa succede se aumenta ancora?
Le imprese italiane hanno superato la crisi, ma arrivano già i primi segni di rallentamento. Oltre al contesto macroeconomico, a far paura è l’aumento dello spread che se dovesse aumentare ancora potrebbe avere conseguenze negative sugli investimenti. Eppure ci sarebbero più di 5.000 Pmi eccellenti che potrebbero aprirsi a investitori istituzionali o alla quotazione e aiutare l’economia del paese.
Raggiunti e superati i livelli pre-crisi
Secondo il Rapporto Pmi 2018 elaborato da Cerved, le piccole e medie imprese italiane hanno superato la crisi, mostrando livelli di redditività elevati e debiti finanziari più sostenibili e più equilibrati rispetto a un decennio fa. In miglioramento anche il numero di imprese attive. Grazie alle nuove aperture e al calo delle chiusure, si è finalmente arginata l’emorragia che aveva decimato il sistema imprenditoriale. Neanche a dirlo, a guidare la ripresa sono state le Pmi con maggiore vocazione internazionale.
E in futuro? Prospettive poco rassicuranti
Tuttavia la crescita sembra essersi fermata. Diversi indicatori relativi alla prima metà del 2018 suggeriscono che la ripresa delle imprese abbia raggiunto un suo picco positivo per poi rallentare o invertire la tendenza. Nei primi sei mesi sono nate poche società di capitali, appena l’1,3% in più contro l’8,2% dell’anno scorso, mentre sono aumentate le liquidazioni volontarie (+3,1% su base annua). Quanto alle abitudini di pagamento, già dalla fine del 2017 sono tornati ad aumentare le fatture non saldate nei termini pattuiti e i giorni medi di ritardo, nonché i ritardi gravi, superiori a due mesi, che in genere sfociano in mancati pagamenti o default.
Attenzione all’aumento spread
“Questa frenata è preoccupante soprattutto alla luce dello scenario macroeconomico caratterizzato da una frenata della congiuntura internazionale e dalla crescente sfiducia dei mercati sui conti pubblici italiani – avverte Valerio Momoni di Cerved – Le nostre analisi mostrano che aumenti prolungati degli spread hanno chiare conseguenze negative sul tessuto imprenditoriale”. Se gli spread crescessero a lungo, infatti, si potrebbero avere un aumento dei tassi di interesse e l’interruzione del ciclo positivo degli investimenti, con pesanti conseguenze sulle Pmi, relativamente sia alla redditività che al rischio.
Cosa succederebbe se aumentasse ancora?
Una simulazione condotta da Cerved sui dati di bilancio indica che, a parità di tutte le altre condizioni, a ogni aumento di 100 punti base del costo del debito delle Pmi corrisponde un calo del Roe (Return on common equity, l’indice di redditività del capitale proprio) di circa un punto percentuale. Gli effetti sulle imprese non sarebbero omogenei: un aumento dei tassi di interesse peserebbe in misura maggiore sulle piccole società, per cui si stima un effetto sul Roe di 5,7 punti percentuali in caso di crescita di 500 basis points.
Oltre 5.000 Pmi potrebbero quotarsi o aprirsi ai fondi
Le Pmi restano il cuore pulsante dell’economia italiana e potrebbero continuare a sostenerla. Sono infatti state individuate oltre 5.000 società eccellenti che potrebbero avvantaggiarsi di iniezioni di equity, tramite la quotazione in Borsa o l’ingresso di fondi di investimento. Occorre però vincere una riluttanza storica e renderle più propense ad aprire il capitale a investitori e manager esterni, che le aiuterebbero a fare un salto dimensionale. Cerved ha stimato, come effetto massimo e raggiungibile nel medio periodo, che se le 4.386 Pmi interessanti per un fondo di private equity fossero acquisite potrebbero accrescere il loro valore aggiunto di 40 miliardi euro. Allo stesso modo, le 699 società quotabili potrebbero aumentarlo di 21 miliardi. Complessivamente, si parla di quasi 4 punti percentuali sul Pil dell’Italia.