Italiani insicuri: niente più Bot, meglio tenere i soldi contanti e in depositi bancari
Se mattone e Bot fino a poco tempo fa erano nel codice genetico degli italiani, oggi il 61% degli italiani non comprerebbe più i uoni del Tesoro, visti i rendimenti microscopici. Così emerge dal 53esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese secondo cui oggi è cambiata la percezione sociale della proprietà immobiliare, considerata un costo più che un investimento.
Corre la liquidità: +33,6% di contanti e depositi in dieci anni
Dal 2011 la ricchezza immobiliare delle famiglie ha subito una decurtazione del 12,6% in termini reali e venuti meno i pilastri del modello tradizionale di sviluppo, agli italiani non è arrivata però l’offerta di percorrere insieme nuovi sentieri di crescita per costruire il futuro. Anzi, secondo il 74% nei prossimi anni l’economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione, e il 26% è sicuro che è in arrivo una nuova recessione.
Dovendo contare di fatto solo sulle proprie forze, gli italiani hanno quindi messo in campo stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro: dal severo scrutinio nei consumi, al cash accumulato in chiave difensiva, fino anche il «nero» di sopravvivenza. Nnn si è fermata la corsa alla liquidità: +33,6% di contante e depositi bancari nel decennio 2008-2018 (contro il -0,4% delle attività finanziarie complessive delle famiglie). È il segno di un legame profondo con il contante che rinvia alle sue valenze psicologiche, oltre che funzionali dice il Rapporto.
Flessione demografica in atto
La fotografia che scatta il Censis dell’Italia è di un paese rimpicciolito, invecchiato, con pochi giovani e pochissime nascite. Dal 2015 ‒ anno di inizio della flessione demografica, mai accaduta prima nella nostra storia ‒ si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l’incremento di 241.066 stranieri residenti. E le dinamiche demografiche incidono pesantemente sugli equilibri del sistema di welfare. L’aspettativa di vita alla nascita nel 2018 è di 85,2 anni per le donne e 80,8 per gli uomini.
Oggi gli over 80 rappresentano già il 27,7% del totale degli over 64 e saranno il 32,4% nel 2041.
Guardando ai nostri giorni, i soggetti più vulnerabili nelle maglie larghe del sistema formativo, pochi sono quelli che conseguono la laurea e frequenti gli abbandoni scolastici. Il 52,1% dei 60-64enni – dice il Rapporto – si è fermato alla licenza media (a fronte del 31,6% medio nell’Unione europea). Ma anche tra i 25-39enni il 26,4% non ha conseguito un titolo di studio superiore (contro il 16,3% medio della Ue). Il 14,5% dei 18-24enni (quasi 600.000 persone) non possiede né il diploma, né la qualifica e non frequenta percorsi formativi. Inoltre il 68% degli adulti non possiede sufficienti conoscenze finanziarie di base.
Più occupati ma meno lavoro
Dai banchi di scuola al lavoro il passo è breve. Oggi ci sono in Italia più occupati ma c’è anche meno lavoro. Rispetto al 2007, nel 2018 si contano 321.000 occupati in più: +1,4%. La tendenza è continuata anche quest’anno: +0,5% nei primi sei mesi del 2019. Il riassorbimento dell’impatto della lunga recessione nasconde però alcune criticità. Il bilancio dell’occupazione è dato da una riduzione di 867.000 occupati a tempo pieno e un aumento di 1,2 milioni di occupati a tempo parziale. Nel periodo 2007-2018 il part time è aumentato del 38% e anche nella dinamica tendenziale (primo semestre 2018-2019) è cresciuto di 2 punti.
Rimanendo in tema occupazione, nel 2018 in Italia sono stati installati 9.800 nuovi robot: meno della metà della Germania (26.700), ma quasi il doppio di Francia (5.800) e Spagna (5.300). Nel nostro Paese nell’industria sono stati installati 200 robot ogni 10.000 addetti, il doppio della media mondiale. Ma siamo in ritardo rispetto ai grandi protagonisti della produzione industriale, in particolare di autoveicoli, come Germania (338) e Giappone (327), e rispetto a economie con una manifattura altamente tecnologica, come Singapore (831) e Corea del Sud (774).
Infine sulla questione euro ed Europa, gli italiani si dichiarano in maggioranza contrari a fare un passo indietro su tre questioni che avrebbero un impatto decisivo sulla nostra presenza in Europa: il 61% dice no al ritorno alla lira (è favorevole il 24%), il 62% è convinto che non si debba uscire dall’Unione europea (è favorevole il 25%), il 49% si dice contrario alla riattivazione delle dogane alle frontiere interne della Ue, considerate un ostacolo alla libera circolazione delle merci e delle persone (è favorevole il 32%).