Jobs Act, licenziamento ingiustificato: incostituzionale il criterio per calcolare l’indennità
Illegittimo il criterio di determinazione dell’indennità di licenziamento prevista dal Jobs Act di Matteo Renzi. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale che nel dettaglio ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte – non modificata dal successivo Decreto legge n.87/2018, cosiddetto “Decreto dignità” – che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.
L’indennità nel Jobs Act prima e nel Decreto dignità dopo
Il Jobs act varato dal governo Renzi prevedeva un’indennità di licenziamento compresa tra 4 e 24 mensilità, calcolata in due mensilità per ogni anno di servizio prestato. La norma recita testualmente: “Il giudice (…) condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità”. In altre parole il Jobs Act dell’ex governo Renzi ha previsto per il lavoratore licenziato in maniera ingiusta – come stabilisce il giudice – un risarcimento di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità di servizio, il tutto, entro un limite minimo (quattro mesi di stipendio) e massimo (ventiquattro mesi). Successivamente l’attuale governo con il decreto dignità ha modificato il numero degli indennizzi, portandoli ad un minimo di sei a un massimo di 36 mensilità, ma senza modificare il meccanismo.
Il ricorso alla Corte Costituzionale e la sentenza
Il Tribunale del Lavoro di Roma ha poi proposto ricorso dinanzi la Corte Costituzionale in ragione, si legge, “della disciplina concreta dell’indennità risarcitoria, destinata a sostituire il risarcimento in forma specifica, e della sua quantificazione”. Oggi la Corte ha deciso di dichiarare illegittima la norma proprio nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, scrive la Corte nel suo comunicato stampa (la sentenza sarà depositata nelle prossime settimane), “la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”. Tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono state dichiarate inammissibili o infondate.