L’analisi: Germania il paese che si è arricchito di più in 20 anni euro. Italia ha perso fino a 4,3 trilioni
Una brutta notizia per chi tifa euro in Italia e, di conseguenza, per il motivo diametralmente opposto, una bella notizia per gli euroscettici e per chi ha addossato la colpa della vulnerabilità economica del paese, in questi ultimi anni, all’euro. Ma solo in apparenza. Arriva il rapporto “20 year of The Euro: Winners and Losers”, firmato da Alessandro Gasparotti e Matthias Kulla del Center for European Politics. “20 anni di euro: Vincintori e perdenti”.
La brutta notizia è che l’Italia fa parte della categoria di chi ha perso, e che la Germania, invece, come spesso denunciato da sovranisti ed euroscettici, fa parte delle economie che hanno beneficiato dell’introduzione della moneta unica.
Il motivo per cui ciò è accaduto non avalla però le tesi dei no-euro: se la Germania risulta tra i vincitori è perchè, così come altri paesi membri dell’Eurozona, in questi anni ha auspicato il rigore dei conti pubblici.
Andiamo per ordine: “La Germania è stata il paese che, dall’introduzione dell’euro, ha guadagnato più di tutti: quasi 1,9 trilioni di euro tra il 1999 e il 2017, ovvero 23.000 euro per abitante. Tra gli altri paesi ha guadagnato solo l’Olanda”.
“Nei primi anni successivi alla sua introduzione, la Grecia ha tratto un guadagno enorme dall’euro. Tuttavia, dal 2011, il paese ha accusato perdite notevoli. Nell’intero periodo (dei 20 anni), si ha un bilancio appena positivo, pari ad appena due miliardi di euro (di guadagni per il paese) e di 190 euro per abitante. In tutti gli altri paesi analizzati, l’euro si è tradotto in una flessione della prosperità: la Francia ha perso fino a 3,6 trilioni di euro, mentre l’Italia fino a 4,3 trilioni di euro. Rispettivamente, la perdita pro-capite è stata pari a 56.000 e 74.000 euro”.
Il rapporto ricorda come lo scetticismo nei confronti della moneta unica, introdotta ufficialmente il primo gennaio del 1999, sia stato alimentato dalla crisi dei paesi dell’euro, “iniziata alla fine del 2009 in Grecia, poi dilagata in numerosi altri paesi dell’Eurozona. All’apice della crisi della metà del 2012, cinque dei 17 paesi dell’Eurozona – si legge ancora – Grecia, Irlanda, Spagna, Portogallo e Cipro necessitavano di un aiuto finanziario: attraverso i fondi di assistenza finanziaria creati ad hoc – come l’EFSM, l’EFSF e l’ESM – così come attraverso i prestiti bilaterali, con la Grecia che ricevette 261,9 miliardi di euro, l’Irlanda 45 miliardi, la Spagna 41,3 miliardi, il Portogallo 50,3 miliardi e Cipro 6,3 miliardi”
“La situazione migliorò soltanto quando, il 26 luglio del 2012, il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi promise che la Bce avrebbe fatto tutto quanto possibile entro i limiti fissati sul suo mandato, per salvare l’Unione monetaria.
Viene ricordata la famosa frase: “Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro”. Ovvero: “Entro i limiti del nostro mandato, la Bce è pronta a fare qualsiasi cosa sia necessaria per preservare l’euro”. Con questa frase, l’Eurozona scampò per poco al break up dell’euro”.
L’analisi continua mettendo però in evidenza anche i limiti dell’operato di Draghi:
“Sebbene Mario Draghi sia riuscito a rassicurare gli operatori del mercato dei capitali con questa promessa, niente è cambiato nei problemi fondamentali dell’Eurozona. In particolare, il problema della divergenza tra i livelli di competitività dei paesi dell’Eurozona rimangono irrisolti e hanno a che fare con il fatto che i paesi singoli dell’Eurozona non possono più svalutare le loro monete per cercare di rimanere competitivi a livello globale, escamotage a cui si ricorreva spesso (riferimento alle svalutazioni competitive) prima che l’euro venisse introdotto. Dall’introduzione dell’euro, l’erosione della competitività internazionale ha portato a una crescita economica più bassa, a un aumento della disoccupazione e al calo delle entrate fiscali. Grecia e Italia in particolare stanno facendo fronte al momento alle difficoltà maggiori a causa della mancata possibilità di svalutare le monete”.
Detto questo, il Center for European Politics è andato oltre l’ambito puramente commerciale, focalizzandosi in particolare sul trend del Pil pro-capite. Nel caso dell’Italia le conclusioni sono drammatiche: “In nessun altro paese tra quelli esaminati l’euro ha provocato perdite così elevate di ricchezza, come in Italia. Le perdite sofferte dall’introduzione dell’euro sono state pari a 4,3 trilioni di euro e di 73.605 pro-capite”.
Il motivo?
“Ciò è avvenuto in quando il Pil pro-capite dell’Italia ha subito una stagnazione da quando l’euro è stato introdotto. L’Italia non ha trovato ancora un modo per diventare competitiva all’interno dell’Eurozona. Nei decenni precedenti l’introduzione dell’euro, l’Italia era solita svalutare regolarmente la propria valuta a tal fine (per sostenere le esportazioni). Successivamente, ciò non è stato più possibile e sono diventate necessarie, piuttosto, le riforme strutturali. La Spagna mostra come le riforme strutturali possano invertire il trend negativo perfino dell’incremento delle perdite in termini di ricchezza”.