Lavoro: 1 occupato su 4 è sovraistruito, è rischio per la produttività
In Italia, 1 occupato su 4 è sovraistruito. Vale a dire diplomati e laureati svolgono spesso una professione per la quale il titolo di studio maggiormente richiesto è inferiore a quello posseduto. Una tendenza cresciuta negli ultimi anni, nonostante gli italiani siano i meno scolarizzati d’Europa. Nel 2019 i sovraistruiti erano poco meno del 25% del totale degli occupati ma negli ultimi 10 anni i dati assoluti dei sovraistruiti in Italia sono cresciuti di quasi il 30 per cento. Se, inoltre, si considera la percentuale solo sugli occupati che possiedono un diploma di scuola superiore o una laurea, l’anno scorso l’incidenza degli sovraistruiti è salita al 40%. A dirlo è l’ufficio studi della CGIA, che lancia un allarme sul rischio di demotivazione e bassa produttività.
“La sovraistruzione non va sottovalutata – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – perché molto spesso attiva meccanismi di demotivazione e di scoramento che condizionano negativamente il livello di produttività del lavoratore interessato e conseguentemente dell’azienda in cui è occupato”. Il clima di sconforto che si viene a creare può innescare delle situazioni di malessere che diffondendosi tra i colleghi può addirittura interessare interi settori o reparti produttivi, con ricadute molto negative per la vita dell’azienda.
L’incremento degli sovraistruiti è in massima parte dovuto alla mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste dalle aziende e quelle possedute dai candidati. Non va nemmeno dimenticato che grazie al ricambio generazionale registrato in questi anni sono usciti dal mercato del lavoro tanti over 60 con livelli di istruzione bassi che sono stati rimpiazzati da giovani diplomati o laureati senza alcuna esperienza professionale alle spalle.
Italiani i meno scolarizzati d’Europa
Sebbene in Italia il problema della sovraistruzione sia in costante ascesa, paradossalmente continuiamo ad essere tra i meno scolarizzati d’Europa. L’anno scorso la quota di popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore era del 62,2%, un dato decisamente inferiore a quello medio dell’Unione pari al 78,8% e a quello delle altre grandi economie europee: la Francia registrava l’80,4, il Regno Unito l’81,1 e la Germania l’86,6 per cento. Non meno ampio è il divario per quanto riguarda la percentuale di coloro che hanno conseguito una laurea: se nel 2019 in Italia la soglia era del 19,6 per cento, la media europea si è attestata al 33,2.
Inoltre, rimane alto l’abbandono scolastico. Sebbene negli ultimi anni ci sia stata una contrazione del fenomeno, un elevato numero di giovani continua a lasciare prematuramente la scuola, anche dell’obbligo, concorrendo ad aumentare la disoccupazione giovanile, il rischio povertà ed esclusione sociale. Nel 2019 l’abbandono scolastico è stato del 13,5%, per un totale di 561 mila giovani.
Anche nel periodo Covid difficile reperire migliaia di posti di lavoro
Nonostante la disoccupazione giovanile sia alta, il livello di istruzione ancora ben al di sotto degli standard europei e l’abbandono scolastico rimanga sostenuto, anche ad agosto, nel pieno della fase Covid le imprese hanno faticato a trovare personale. Sebbene sia un mese molto particolare, il 30 per cento circa delle 200mila assunzioni previste ad agosto è stato di difficile reperimento, con punte del 39,6% in Friuli Venezia Giulia. Tra le professioni non facili da coprire si segnalano i meccanici artigiani, montatori, riparatori e manutentori di macchine fisse e mobili (53,5%), artigiani e operai specializzati nelle rifiniture delle costruzioni (43,1%) e gli autisti di bus e mezzi pesanti (42,5%).
Secondo la CGIA il ruolo delle Pmi permetterebbe di arginare la diffusione del fenomeno della sovraistruzione. “Sebbene non ci siano dati che consentono di misurare con puntualità il livello di sovraistruzione per dimensioni di impresa, l’esperienza quotidiana ci insegna che il ruolo delle maestranze presenti nelle piccole imprese è centrale rispetto a coloro che lavorano nelle aziende di maggiori dimensioni”, concludono dalla CGIA.