Lavoro in nero: sono 3,3 milioni i lavoratori invisibili, 42,6 miliardi di buco al fisco
Sono 3,3 milioni i lavoratori in nero in Italia. Pur essendo sconosciuti all’Inps, all’Inail e al fisco, gli effetti economici che producono sono importanti e pesantissimi.
Secondo le ultime stime elaborate dall’Ufficio studi della CGIA, questo esercito di irregolari genera 77,3 miliardi di fatturato in nero all’anno, sottraendo al fisco un gettito di 42,6 miliardi di euro. Un importo, quest’ultimo, pari a oltre il 40 per cento dell’evasione di imposta annua stimata dai tecnici del ministero dell’Economia e delle Finanze. A rimetterci non sono solo le casse dell’erario, ma anche le attività produttive e dei servizi, che subiscono la concorrenza sleale di questo fenomeno. Questi lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, quindi, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto.
Nel Sud, il lavoro in nero è diffusissimo. La regione più invisibile è la Calabria che presenta 146 mila lavoratori in nero, ma un’incidenza percentuale del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale pari al 9,9 per cento. Un risultato che è quasi doppio rispetto al dato medio nazionale (5,2 per cento). Questa situazione, secondo l’elaborazione della CGIA, si traduce in quasi 1,6 miliardi di euro di mancate entrate per lo Stato dalla Calabria. Segue la Campania che con 382.900 unità di lavoro irregolari “produce” un Pil in nero che pesa su quello ufficiale per l’8,8 per cento. Le tasse che mediamente vengono a mancare in Campania ammontano a 4,4 miliardi di euro all’anno. Al terzo posto si trova la Sicilia: con 312.600 irregolari e un peso dell’economia sommersa su quella complessiva pari all’8,1 per cento, le imposte e i contributi non versati sfiorano i 3,5 miliardi di euro all’anno. Il territorio meno interessato dalla presenza dell’economia sommersa è invece il Veneto.
Per contrastare questo fenomeno la reintroduzione dei voucher potrebbe essere una prima risposta. “Eliminarli è stato un errore – sostiene il segretario della CGIA Renato Mason – Pertanto, vanno assolutamente reintrodotti, in particolar modo nell’agricoltura, nel turismo, nei settori dove è forte la stagionalità e tra le micro imprese artigiane”. Oltre ai voucher, per contrastare questo fenomeno la CGIA suggerisce di abbassare le tasse e i contributi previdenziali, di ridurre il carico amministrativo e di incentivare le misure dissuasive e di stimolo all’emersione, sostenendo, soprattutto, l’attività di controllo.