Made in Italy: c’è ancora spazio per crescere all’estero. Confindustria stima opportunità da quasi 45 mld
Il potenziale di crescita del made in Italy all’estero non si è ancora esaurito. Anzi, le prospettive di crescita da cogliere non mancano, facendo leva su segni distintivi come la qualità dei prodotti, l’accuratezza delle lavorazioni e la forza del design. Sui mercati internazionali l’Italia si posiziona al terzo posto nella classifica mondiali degli esportatori dei beni finali di consumo di fascia alta. E le eccellenze del made in Italy (il bello e ben fatto) valgono 86 miliardi di euro di export nel mondo, circa il 15,6% delle esportazioni complessive dell’Italia e sono trasversali a tutti i principali comparti. Certo, bisogna fare i conti con l’incertezza generata dalle tensioni commerciali che rischiano di danneggiare “molti comparti del made in Italy”. Numeri e trend contenuti nella decima edizione di “Esportare la Dolce Vita”, il rapporto realizzato dal Centro Studi di Confindustria con il sostegno di Sace Simest, la collaborazione con la Fondazione Manlio Masi e il contributo di Confindustria Ceramica, Cosmetica Italia, Federalimentare e Ucina.
In particolare, lo studio stima per i prodotti belli e ben fatti (BBF) (ovvero tutti quei beni finali di consumo che l’Italia esporta a prezzi elevati e che si contraddistinguono per design, cura, qualità dei materiali e delle lavorazioni, contribuendo a diffondere nel mondo l’immagine dell’Italian way of life) un ulteriore potenziale di export di quasi 45 miliardi di euro, di cui 33,5 miliardi verso i paesi avanzati e 10,9 verso gli emergenti. Scendendo più nel dettaglio, tra i Paesi avanzati su cui puntare spiccano Stati Uniti (8,2 miliardi di euro), Germania (3,3 miliardi), Giappone (2,6 miliardi), Regno Unito (2,5 miliardi) e Francia (2,1 miliardi). Tra le economie emergenti i mercati principali risultano Cina (3,3 miliardi di euro), Emirati Arabi Uniti (1,3 miliardi), Qatar (0,8 miliardi), Arabia Saudita (0,8 miliardi) e Russia (0,6 miliardi).
Per quanto riguarda i settori, oltre a quelli che rientrano nelle cosiddette “tre F” di fashion, food, furniture, i comparti a più alto contenuto di prodotti di qualità ed eccellenze spaziano su un’ampia gamma che va dalla cosmetica alla ceramica, dalla nautica ai motocicli. Tutti settori che sono stati tra i più dinamici dopo la crisi del 2008. L’Italia, inoltre, è prima al mondo per quote di BBF in Legno e arredo, Pelletteria, Calzature, Tessile e abbigliamento.
Le tensioni commerciali generano incertezza
Le crescenti spinte protezionistiche rischiano di danneggiare molti comparti del made in Italy e di ridimensionare il loro potenziale di crescita verso numerosi mercati di sbocco, Stati Uniti in primis. “Seppure l’Italia non sia per ora tra i paesi più colpiti, alcuni prodotti legati al BBF ne sono già risultati danneggiati”, segnala ricerca di Confindustria. “Esportare la Dolce Vita” indica i tre assi su cui puntare per trasformare l’export da potenziale in effettivo: continuare a promuovere gli accordi commerciali, potenziare la presenza del made in Italy sulle piattaforme di e-commerce e contrastare i fenomeni dell’italian sounding e della contraffazione.
L’Italia deve potenziare le vendite e-commerce
Pur stazionando nella top 10 dei paesi che vendono online, l’Italia è il paese che resta più indietro nelle vendite attraverso l’e-commerce rispetto ai suoi principali concorrenti. Per incidenza delle vendite rispetto al PIL, l’Italia (17 per cento) è più in linea con la Cina (16 per cento) e l’India (15 per cento) che non con gli altri paesi avanzati, che oscillano tra l’84 per cento della Corea del Sud e il 28 per cento della Francia. Il BBF richiede la valorizzazione su spazi virtuali dedicati, che riescano a mettere in risalto i punti di distinzione rispetto a beni simili ma non eccellenti e, ancor peggio, a contraffazioni.