Manovra, Draghi regista della metamorfosi di Savona. Ultima parola a Mattarella, forte del precedente di Napolitano
In via esclusiva, Dagospia riporta cosa c’è dietro la metamorfosi del ministro degli Affari europei Paolo Savona, secondo cui la manovra del governo M5S-Lega “DEVE essere corretta”, dando “meno soldi a misure assistenziali come il Reddito di Cittadinanza e la riforma della Legge Fornero, e più investimenti pubblici“.
“Cosa è successo all’uomo del Cigno Nero, del Piano B per l’uscita dall’Euro“, tanto da farlo diventare “il più europeista dell’esecutivo”?
Tutto è iniziato quando il ministro “spiazzò tutti” nel momento in cui “trapelò la sua visita non ufficiale a Francoforte, nell’ufficio di Mario Draghi, uno dei suoi nemici più cari“.
La metamorfosi di Paolo Savona inizia da lì:
“In quell’occasione chiese in modo diretto al presidente della BCE di allungare il Quantitative Easing fino alla fine del suo mandato, nell’autunno 2019, per ‘coprire’ con il suo ombrello le prime misure del governo appena nato. Draghi gli oppose un netto rifiuto: proprio perché in scadenza, non vuole essere ricordato per un’ultima mossa smaccatamente pro-italiana”.
Savona, continua l’articolo firmato Dagonews, riferì tutto questo a Salvini, facendogli capire che “senza la copertura della BCE l’Italia poteva solo andare a sbattere contro il muro della Commissione”.
Il ministroi rimproverò inoltre “a Tria di aver completamente toppato la strategia negoziale con l’UE. I punti della manovra andavano affrontati in via confidenziale prima di presentarla, Reddito di Cittadinanza e Legge Fornero andavano posticipati e la spinta più forte (questo Savona lo ha sempre detto) bisognava darla sul lato degli investimenti. Tria invece aveva negoziato un deficit all’1,9-2,1%, che avrebbe portato al pubblico brontolio di Moscovici & co., un po’ di tira e molla e poi un ok finale, lo stesso copione visto con i governi italiani degli ultimi anni”.
“Ma l’idea di rinunciare alle misure più strombazzate”, si legge ancora, fece “infuriare Di Maio, e Salvini si accodò”.
“Cosa succederà adesso?”.
In base alle indiscrezioni raccolte, Dagospia riporta che “la trattativa sui conti italiani andrà avanti fino a fine anno e si chiuderà ad inizio 2019, con la mediazione della Merkel, realisticamente con un deficit intorno al 2,1%, abbastanza alto da non umiliare il governo ma ovviamente più basso per mostrare agli altri paesi europei che ancora una volta i paesi riottosi vengono riportati a cuccia. Si troverebbe un escamotage per riservare una quota maggiore di bilancio agli investimenti pubblici, depotenziando la parte assistenzialista, percepita come incapace di generare Pil”.
Viene fatto notare, di fatto, come la Germania della Merkel non possa permettersi una crisi italiana proprio nell’anno delle elezioni europee.
Ma se la mediazione non si trovasse? A quel punto, l’ultima parola spetterebbe al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che già ieri ha ricordato che il bilancio dello Stato è un bene pubblico, affermando che “è evidente come, senza finanze pubbliche solide e stabili, non risulti possibile tutelare i diritti sociali in modo efficace e duraturo, assicurando l’indispensabile criterio dell’equità intergenerazionale”.
Mattarella, in un momento in cui anche la Fed di Jerome Powell lancia un alert sull’Italia, sottolineando che le trattative con Bruxelles fanno parte delle “fonti di rischio che possono innescare situazioni di stress in qualsiasi momento” sui mercati e sull’economia globale e, a fronte di un Fmi che, in vista della riunione del G20 scrive che l’Italia deve fare più sforzi sui conti, citando anche il rischio spread, secondo Dagonews potrebbe chiedere al premier Giuseppe Conte di rassegnare le dimissioni.
Ciò avverrebbe se a gennaio l’Italia si trovasse “davanti a una procedura di infrazione e uno spread fuori controllo”.
A quel punto, forte del precedente, “come fece Napolitano con Berlusconi nel novembre 2011, dopo la lettera BCE, le risatine di Merkel-Sarkozy e il fucile puntato dello spread a 550″, Mattarella chiederebbe la testa di Conte. E poi, sarebbe tutto da vedere cosa potrebbe succedere ancora, in una Italia praticamente sempre più accerchiata.