Mps: aumento capitale diventa incubo per banche e assicurazioni italiane. Il piano Mef e l’alert burden sharing
E ora per Mps torna anche l’incubo burden sharing, proprio quello che il Tesoro ha cercato di tenere lontano il più possibile dalla banca senese. Mps sempre protagonista indiscussa di Piazza Affari, tanto più ora, in vista dell’aumento di capitale visto come operazione sine qua non per assicurarle la sopravvivenza: operazione che si teme possa fare flop, al punto che già si parla di un piano B della Bce.
Mentre si attendono novità sull’esito delle trattative tra il ceo Luigi Lovaglio e i partner industriali del Monte dei Paschi di Siena, Anima Holding e Axa – trattative tese a convincere i gruppi a partecipare all’operazione di ricapitalizzazione-, arrivano indiscrezioni che riguardano proprio la società italiana del risparmio gestito.
Ma le indiscrezioni interessano anche il Mef-Tesoro, principale azionista di quello che ormai è noto come Monte di Stato con una quota del 64% circa, che starebbe studiando l’opzione di convincere altre banche italiane, incluse le Big italiane, a partecipare all’aumento di capitale.
Nel frattempo, rumor a parte, tra le notizie certe c’è quella della richiesta boom da parte dei dipendenti a uscire in via anticipata dalla banca senese.
“Le adesioni totali a livello di Gruppo sono state pari a 4.125 unità, di cui 110 inerenti all’esodo e 4.015 relative al Fondo”, stando al comunicato dei sindacati: ben oltre le 3.500 uscite anticipate che erano state previste.
Qualcuno parla di fuga di dipendenti dalla banca senese: sicuramente si pone un altro problema pratico per i vertici del Monte dei Paschi, che dovranno ora valutare le richieste eccedenti, la cui eventuale accettazione comporterebbe il sostenimento di altri oneri.
Mps: Mef chiama alle armi UniCredit, Intesa & Co
Veniamo ai rumor diffusi dal quotidiano Il Messaggero: “Mps, cordata di sistema. Il salvagente del Tesoro”.
In tempi di paura di doom loop, di crisi economica destinata a prendere la forma di una recessione per l’Italia e per il mondo, degli avvertimenti sul rischio che le banche italiane abbiano bisogno tutte di più capitali, arriva l’idea del Tesoro di ricorrere addirittura alla soluzione in stile banche venete.
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“L’ultima spiaggia per l’aumento di capitale Mps è una specie di chiamata alle armi del Tesoro per costruire una cordata di sistema fra grandi banche, assicurazioni, fondi e casse di previdenza – scrive Rosario Dimito de Il Messaggero, facendo riferimento al team del “dg Alessandro Rivera”, che “sta sondando singolarmente i soggetti coinvolti”. “Interpellate alcune grandi banche, riferiscono di non aver ricevuto alcun segnale ma di essere a conoscenza dell’iniziativa”.
Bisogna agire in fretta per raccogliere quei 900 milioni di euro di capitali privati che devono essere messi sul piatto per la buona riuscita dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro: 1,6 miliardi di euro saranno messi a disposizione dal Mef primo azionista, ma gli altri?
Il mercato, stando a quanto paventato da giorni già dal consorzio delle banche di garanzia chiamate a garantire per l’appunto la ricapitalizzazione, sembra sordo agli appelli del Monte.
E il quotidiano romano avverte che a Francoforte la Vigilanza della Bce è decisamente vigile sul Monte, tanto che “gli uffici di Francoforte sarebbero pronti a mettere in campo un piano B, in caso di fallimento di quello principale, che potrebbe essere un burden sharing con il coinvolgimento dei bondholers nel capitale, con tutte le conseguenze intuibili”.
Lo spettro del burden sharing starebbe mettendo alle strette il Mef, che si sarebbe messo all’opera per coinvincere le altre banche italiane all’ennesimo salvataggio dell’istituto considerato ormai zombie.
I piani del Tesoro sognano una cordata di sistema, in cui potrebbero essere presenti gli anchor investors contattati da Lovaglio proprio su pressione del consorzio di garanzia delle banche, ma anche le grandi banche e le grandi compagnie di assicurazione:
“Intesa, UniCredit, BPM, Bper, Agricole Italia con una richiesta di 300 milioni. Le assicurazioni Generali e Unipol per un totale di 100 milioni”, si legge nell’articolo de Il Messaggero, “oltre alle casse di previdenze, a cui il Tesoro vorrebbe chuiedere 100 milioni in totale. Infine, 300 milioni potrebbero essere sborsati secondo Il Messaggero dai “grandi fondi vicini a Lovaglio”.
Di tempo ce n’è davvero poco: l’aumento di capitale dovrebbe partire il prossimo 17 ottobre, già slittato rispetto al lancio inizialmente previsto per il prossimo 10 ottobre.
Il ritorno dello spettro del burden sharing agita come non mai i detentori dei bond: in primo piano il timore che le obbligazioni subordinate vengano convertite in azioni o soffrano una svalutazione – haircut – in caso di mancata soluzione di mercato.
Un incubo che gli obbligazionisti avevano rivissuto alla fine del 2021, con il flop delle trattative tra il Mef e UniCredit di Andrea Orcel tese a privatizzare il Monte.
L’incubo allora non si era concretizzato: un burden sharing era infatti proprio quanto il Mef, dopo la fine delle trattative con UniCredit, aveva intenzione di evitare assolutamente, dopo0 quello lanciato nell’ambito del piano di ricapitalizzazione precauzionale della banca del 2017, i cui dettagli sono chiaramente esplicitati nel sito di Bankitalia.
Mps e l’incubo burden sharing:
Riassume il dossier Mps Andrea Lisi nella nota odierna di Equita SIM “Mps: sindacati comunicano richieste esodo da 4.125 dipendenti, oltre le attese”.
La nota fa riferimento anche a quanto riportato da Il Messaggero e all’incubo burden sharing per i detentori dei bond subordinati di Mps.
“Le principali sigle sindacali hanno comunicato di aver raggiunto 4.125 adesioni da parte dei dipendenti di Mps al fondo di solidarietà. Le significative adesioni al fondo di solidarietà permettono quindi di dare completa visibilità al raggiungimento del target di uscite fissate a piano per il 2022 pari a c.3.500 (soggette all’esecuzione dell’aumento di capitale), con un costo stimato di 800 milioni e che dovrebbe garantire risparmi annui per circa 270 milioni dal 2023. Da valutare se la banca accetterà anche le richieste eccedenti il target, alla luce degli oneri connessi e al loro peso in relazione all’operazione di rafforzamento patrimoniale prevista dalla banca. Complessivamente in arco piano il numero complessivo di uscite previste è pari a 4,100 entro il 2026″.
In merito alla chiamata alle armi da parte del Tesoro per salvare Mps, Equita SIM rimarca i punti essenziali dell’articolo de Il Messaggero:
“Secondo quanto riportato da Il Messaggero, il MEF starebbe inoltre sondando la disponibilità di banche (Unicredit, BAMI, BPE, Intesa e Credit Agricole Italia), assicurazioni (Generali e Unipol) e casse previdenziali per contribuire all’aumento di capitale della banca. L’obiettivo sarebbe quello di raccogliere complessivamente fino a 500 milioni, da affiancare ai 300 milioni che potrebbero mettere Axa (circa 100 milioni) e Anima (circa 200 milioni), con quest’ultima disponibile ad entrare nel capitale di Mps in cambio di rafforzamento della partnership in essere”.
Sulla questione spinosa del burden sharing, Equita SIM sottolinea che, “relativamente ai titoli subordinati, ai prezzi attuali il mercato attualmente sconta come scenario più probabile il burden sharing con il coinvolgimento dei titoli che sarebbero oggetto di conversione per un ammontare pari all’aumento di capitale, ex-quota del MEF, di circa 900 milioni”.
In sostanza, in tempi di guerra, a fronte di mercati volatili, stretti tra la paura di una recessione e quella di una inflazione che rimane ostinatamente elevata, Mps versa in una posizione sicuramente non invidiabile: è a caccia di mezzi freschi e dunque di potenziali investitori con un valore di mercato che è sceso fino a poco più di 1/10 dei 2,5 miliardi di capitali di cui ha bisogno.
E la storia non è sicuramente dalla sua parte, visto che ha bruciato 25 miliardi di euro dei soldi degli investitori dai tempi della crisi finanziaria globale.
Ora, accanto all’incubo degli azionisti post raggruppamento delle azioni e in vista dell’aumento di capitale il cui tempismo non è sicuramente dei migliori, si affaccia anche quello degli obbligazionisti.
L’alert sull’aumento di capitale si era intensificato nelle ultime settimane, con il timore legato al rischio che il consorzio di garanzia guidato da Bank of America, Citigroup, Credit Suisse e Mediobanca mollasse Lovaglio e la banca, nel caso in cui non avesse rilevato un sufficiente interesse degli investitori privati a partecipare alla ricapitalizzazione dell’istituto. Le premesse già da allora non erano affatto confortanti, visto che una fonte vicina al consorzio confermava che le banche non erano riuscite a ottenere neanche UN impegno concreto da potenziali investitori.
Mps, che fa Anima? Intanto arrivano rumor Poste
Il titolo Anima dal canto suo festeggia, oggi, salendo a Piazza Affari di oltre il 3%.
Così riassume Equita SIM le novità che riguardano la società attiva nel risparmio gestito: “Secondo fonti riportate da Reuters, l’Italia starebbe cercando di aumentare la propria partecipazione in Anima attraverso Poste Italiane (controllata dallo Stato – CDP 35%, MEF 29.3%), al fine di difendere la società da una potenziale offerta estera per l’asset manager. L’investimento di Amundi Asset Management funds a maggio con una partecipazione del 5,1%, avvenuta un mese dopo che Credit Agricole (principale azionista di Amundi con una partecipazione del 69% circa) era diventato il maggior azionista di Banco BPM (con una partecipazione del 9,2%), aveva infatti suscitato preoccupazioni in Italia per potenziali piani di espansione del gruppo bancario francese. Secondo fonti riportate nell’articolo, una potenziale offerta estera per Anima è stata discussa in un incontro tra i rappresentati di Anima e funzionari del Tesoro durante l’estate. Inoltre, l’esortazione dell’Italia a far partecipare Anima all’aumento di capitale di Mps per € 2,5 miliardi, secondo quanto riferito, fa parte degli sforzi più ampi dello Stato per preservare l’indipendenza di Monte dei Paschi di Siena”.
Viene ricordato che “Poste Italiane è il secondo azionista di Anima con una partecipazione dell’11%, dopo Banco BPM (20.6%)”.
In borsa, a fronte dello scatto in avanti di Anima, Mps non se la passa bene. Il titolo cede oltre il 2%, dopo gli attacchi che lo hanno colpito la scorsa settimana, complice il nodo Axa-Anima ma anche (soprattutto?) la piaga dei BTP in pancia alla banca senese.
Così scriveva Bloomberg nei giorni scorsi:
“Il 90% circa dei debiti sovrani presenti nel bilancio della banca Mps (si legge nell’articolo di Bloomberg) è costituito da debiti italiani, dunque da BTP & Co: di questo ammontare più della metà è valutato al prezzo corretto (fair value), e mentre l’ammontare totale incide sui risk-weighted asset per il 17% circa”.
Il rischio di svalutazione del capitale è dunque più che presente.
A scatenare le vendite su Mps era stato anche l’alert spread, risuonato tra gli asset italiani la scorsa settimana, quando – nel bel mezzo del panico globale scatenato dal maxi piano di taglio alle attese del governo UK di Liz Truss, poi cancellato – i tassi sui BTP a 10 anni avevano sfiorato la soglia del 5% , fino al 4,9% circa, sulla scia di vendite scatenate che hanno colpito in generale i mercati dei debiti sovrani mondiali.
Lo spread BTP-Bund era salito oltre la soglia di allarme per la Bce, pari a 250 punti, volando fin oltre quota 260.
Il sentiment è negativo anche oggi, in generale, a Piazza Affari, con l’indice Ftse Mib che arretra di oltre -1,5%. Dietrofront anche per UniCredit (-2%), Intesa SanPaolo (-2,5%), mentre Banco BPM cede più del 3% e Bper limita i danni ma arretra di oltre l’1,6%, Credit Agricole Italia -2,7%.
Vendite anche su Generali e Unipol, le due compagnie assicurative chiamate anch’esse alle armi dal Tesoro maggiore azionista di Mps, come le banche di cui sopra, per salvare il Monte.
C’è poco, di fatto, da festeggiare: come se non mancassero altre minacce.
Come farà il bene del Monte dei Paschi a conciliarsi con il populismo che farà parte del governo Meloni, soprattutto di quello della Lega di Matteo Salvini, è un grande mistero.
Dal canto suo Meloni e in generale Fratelli d’Italia si sono fatti già notare, e non solo in casa, con la repentina retromarcia sul Monte di Stato da parte del responsabile economico di FdI Maurizio Leo: retromarcia messa in evidenza dalla stampa tedesca come il primo shock che avrebbe riportato alla realtà Giorgia Meloni e i suoi