Occupati record in Italia, ma nel 2017 è boom solo dei contratti a termine. Ecco perchè
Esultanza a metà per i dati Istat di oggi che sanciscono il nuovo record di numero di occupati in Italia a quota 23.183.000, il livello più alto dall’inizio delle serie storiche, ossia dal 1977. Dato che si accompagna con disoccupazione ai minimi dal 2012.
A novembre gli occupati sono tornati a crescere con forza (+65mila). Al netto della componente demografica, la crescita annua dell’occupazione è più accentuata tra i giovani (15-34 anni) con un +3,1% contro +1,7% per la media tra i 15 e i 64 anni).
La nota dolente è la composizione dei nuovi occupati. Considerando i tre mesi da settembre a novembre si registra una crescita degli occupati rispetto al trimestre precedente di 83 mila unità che si concentra soprattutto tra gli over 50. Ma l’aumento è determinato esclusivamente dai dipendenti a termine, mentre calano i permanenti e rimangono stabili gli indipendenti.
Considerando la variazione congiunturale si vede un timido segnale di ripresa degli occupati a tempo indeterminato (+14 mila). “Il calo della disoccupazione si accompagna a un aumento degli occupati e a un calo degli inattivi e la creazione di posti di lavoro non è limitata all’occupazione temporanea e ai lavoratori più anziani”, rimarca Paolo Mameli, senior economist Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, che vede quest’anno il tasso dei senza lavoro scendere al 10,7%.
Nel 2017 incremento record della quota dei contratti a termine
Condiderando gli ultimi 12 mesi la ripartizione tra occupati è schiacciatamente a favore di quelli a termine (+450mila) rispetto ai soli +48mila permanenti.
Bruno Anastasia, che dirige l’Osservatorio sul mercato del lavoro regionale di Veneto Lavoro e ha insegnato Economia del lavoro all’Università di Trieste, considerando i dati fino a ottobre 2017 evidenzia in un articolo pubblicato su Lavoce.info l’inedito sforamento, con l’avvicinamento di quota 16%, della percentuale degli occupati (dati destagionalizzati) a termine – compresi gli apprendisti – rispetto al valore minimo (12,5 per cento) toccato alla fine del 2009, mentre fino al 2016 le oscillazioni sono state contenute entro il 14,5 per cento. “L’incidenza degli occupati tende a crescere nelle fasi di ripresa – argomenta Anastasia – . Non si tratta di un’incidenza aumentata a causa di un calo degli occupati a tempo indeterminato. con l’ammontare di questi ultimi che risulta sostanzialmente stabile. La quota degli occupati a tempo determinato è salita perché essi sono aumentati in valore assoluto e ciò spiega la crescita occupazionale registrata nel 2017”.
Come spiegare questo boom del tempo determinato nel 2017? Anastasia riconosce due spinte principali: da un lato la ripresa economica, sottostante in particolare all’andamento del somministrato, di cui è nota la sensibilità congiunturale; dall’altro l’allargamento del perimetro del lavoro dipendente con l’inclusione di rapporti di lavoro in precedenza regolati con voucher o con collaborazioni di tipo parasubordinato. La seconda spinta, probabilmente la più rilevante, è nettamente riconoscibile nella straordinaria crescita dell’intermittente. ma giustifica in buona parte sia l’incremento dei rapporti di lavoro stagionali sia la concentrazione dell’incremento dei rapporti a tempo determinato nel settore del commercio-turismo.
Tempo indeterminato un surplace dopo boom del 2015
La dinamica del tempo indeterminato negli ultimi anni è altrettanto anomala: non cresce o cresce pochissimo (nei dati Istat) da quasi due anni. “Per comprendere l’andamento occorre sempre considerare l’effetto a medio termine della straordinaria crescita osservata nel 2015”, sottolinea Anastasia. Il 2015 è stato l’anno della decontribuzione piena per i nuovi assunti a tempo indeterminato, misura che spinse molte imprese ad assumere per beneficiare dell’agevolazione fiscale.
Gli occupati a tempo indeterminato sono aumentati di quasi 700 mila unità tra fine 2014 e fine 2016, con una crescita media pari al 7 per cento “chiaramente non ripetibile, e in molti settori attestata ben oltre il 10 per cento – conclude l’esperto di mercato del lavoro – . Difficile immaginare a breve ulteriori incrementi aziendali degli organici: è già una buona notizia che non si siano ridimensionati. Se la ripresa in corso proseguirà senza arretramenti è probabile che le trasformazioni da tempo determinato in tempo indeterminato aumentino e ciò potrà accadere anche senza incrementi del tasso di trasformazione”.