Pensioni: Italia spende di più di Grecia e Spagna. Riforme sufficienti per renderla sostenibile?
In Italia la quota della spesa pubblica destinata alle pensioni è la più alta tra i paesi Ocse, sorpassando anche Grecia, Portogallo e Spagna. E in percentuale al Pil è la seconda più alta, solo la Grecia spende di più. Una situazione precoccupante nel lungo termine. Le riforme implementate e il miglioramento in termini di occupazione e produttività saranno sufficienti a renderla sostenibile nel tempo?
Italia a confronto sulla spesa pubblica destinata alle pensioni
Secondo una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro, realizzata sugli ultimi dati Ocse, l’Italia destina ben il 32% della spesa pubblica totale alle pensioni, la quota più alta tra i paesi Ocse. Il dato è infatti quasi doppio rispetto a quello della media Ocse, pari al 18%. Spendono più di un quarto del totale della spesa per questa voce anche la Grecia (31,5%), il Portogallo (28%), l’Austria (268%) e la Spagna (258%). A destinare invece meno del 14% della spesa alle pensioni sono il Regno Unito (14%), l’Irlanda (12,5%) e i Paesi Bassi (12%).
In prospettiva temporale le situazioni più preoccupanti sono quelle di Grecia e Portogallo che nell’anno 2000 spendevano quasi 10 punti percentuali in meno per pensioni rispetto al 2015 (o ultimo anno disponibile). In Italia, nello stesso periodo di tempo, la quota di spesa destinata alle pensioni è cresciuta di 2,3 punti percentuali.
La spesa pubblica italiana per pensioni in percentuale al Pil è invece pari al 16%, un valore doppio rispetto alla media Ocse (8%) e inferiore solamente a quello della Grecia (17%). Anche Portogallo, Francia e Austria spendono per la previdenza una quota significativa del reddito nazionale, nello specifico tra il 14% e il 13%. I paesi che destinano invece la minor quota di Pil alla spesa pensionistica sono l’Irlanda (5%), i Paesi Bassi (55%) e il Regno Unito (6%).
Per quanto riguarda l’andamento tra gli anni 2000 e 2015, nei vari Paesi la spesa pensionistica su Pil è rimasta piuttosto stabile crescendo in media di 1,5 punti percentuali. Incrementi molto superiori alla media (tra i 7 e i 3 punti percentuali) si sono verificati in Grecia, Portogallo, Finlandia e Spagna.
Quali previsioni future sull’andamento della spesa pensionistica?
Secondo uno studio pubblicato nel 2017 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (“Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario”) nel lungo periodo la spesa pensionistica in rapporto al Pil dovrebbe tendere a un progressivo calo, grazie alle riforme implementate e grazie a un rapido miglioramento in termini di occupazione e produttività. Il rapporto del MEF prevede infatti che la spesa pensionistica su Pil decresca raggiungendo il 15,5% nel 2019. Il calo vero e proprio si verificherebbe però dopo l’anno 2050 e ciò avverrebbe grazie all’applicazione generalizzata del calcolo contributivo e a un’inversione di tendenza nel rapporto tra occupati e pensionati. La spesa pensionistica su Pil a quel punto, secondo queste previsioni, scenderebbe piuttosto rapidamente raggiungendo il 13% entro il 2070, con una decelerazione pressoché costante.
“Le assunzioni sulle quali si basano le previsioni del MEF sono ottimistiche e allo stesso tempo stringenti”, commenta Massimo Blasoni, presidente del Centro studi ImpresaLavoro, sottolinenando che i risparmi di spesa più consistenti, secondo questo modello, sarebbero legati a un fortissimo incremento del tasso di occupazione (che dovrebbe aumentare di ben dieci punti percentuali entro il 2070) e a una sostanziale decrescita del tasso di disoccupazione (che dovrebbe dimezzarsi nello stesso periodo di tempo). Inoltre, produttività del lavoro e Pil pro capite reale dovrebbero crescere di 1,75 punti percentuali all’anno, aumenti ben lontani dai valori osservati in Italia negli ultimi decenni. “Tutto ciò – conclude Blasoni – fa pensare che la quota di spesa destinata alle pensioni in rapporto al Pil non si ridurrà facilmente nel tempo e che il progressivo invecchiamento della popolazione metterà sotto pressione i conti pubblici ancora per molti anni”.