Quota 100 a rischio flop? Assegno pensione fino a un quinto più basso, tanti potrebbero dire no
Andare in pensione prima grazie a Quota 100, prevista dalla nuova legge di bilancio 2019, non sarà del tutto indolore e non è da escludere che molti italiani decidano di lavorare ancora per garantirsi un assegno mensile più alto.
La scelta di anticipare la pensione rischia infatti di comportare una rinuncia non indifferente in termini di assegno pensionistico. I primi calcoli sulla base delle bozze del documento vedono assegni pensionistici più leggeri fino a un quinto in meno considerando che i beneficiari verseranno meno contributi e allo stesso tempo godranno di una pensione per più anni. Il numero uno dell’Inps Tito Boeri ha parlato addirittura di 500 euro in meno al mese per un dipendente pubblico che va in pensione con 62 anni di età e 38 di contributi rispetto alla pensione a 67 anni prevista attualmente.
Ieri Boeri ha parlato addirittura di un costo di 14 miliardi medi annui di quota 100, includendo anche il rinnovo dell’Opzione Donna, dell’Ape Social e il blocco dei requisiti di pensionamento a 67 anni (vecchiaia) e 42 anni e 10 mesi (anticipata).
Le stime indicate da Boeri si basano su poco meno di 400mila lavoratori in uscita nel 2019. La norma, che deve essere ancora definita nei dettagli, dovrebbe però prevedere il divieto di cumulo reddito-pensioni, che costituirà “un deterrente”, almeno per alcuni, al pensionamento.
Brambilla indica assegno più basso del 15%, stime Boeri si basano su ipotesi di adesione massiccia
Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali e consulente della Lega per la riforma Fornero, predica cautela in attesa di vedere i dettagli del provvedimento con vincoli e finestre di uscita che potrebbero disincentivare non poco il pensionamento anticipato. “Dal 2022 ci sono 100.000 persone che potrebbero andare in pensione con quota 100, ma vedono che a 62 anni il taglio è del 15% circa, quindi decidono di lavorare ancora un po’”, ha detto Brambilla secondo quanto riportato da Reuters.
Esempi pratici
A livello pratico potrà andare in pensione nel 2019 chi avrà compiuto 62 anni con almeno 38 anni di contributi, di cui un massimo di 2/3 anni di contributi figurativi.
Durante l’anno saranno quattro le finestre temporali che il governo aprirà per sfruttare quota 100.
Stando alla simulazione effettuata da Progetica e riportata oggi da Repubblica, un lavoratore nato nel 1957 che guadagna 2mila euro al mese e che lavora da quando aveva 24 anni (ipotesi di continuità lavorativa) potrà scegliere di andare in pensione nel 2019 con un assegno mensile di 1.442 euro, il 19% in meno rispetto ai 1.778 euro in caso di lavoro fino ai 67 anni previsti dalla Legge Fornero. In sintesi più si anticipa l’uscita più si rinuncia a livello di assegno mensile. Chi il prossimo anno avrà invece 63 anni, e ha iniziato a lavorare sempre nel 1981 (38 anni di contributi continuativi), avrà una penalizzazione del 16%, chi avrà 64 anni un assegno più leggero del 13%, chi avrà 65 anni del 9% più basso e infine chi ne avrà 66 anni il 5% più basso.
Pensione di cittadinanza per pochi
Passando al capitolo Pensioni di cittadinanza, si profila abbastanza esigua la platea di cittadini che potrà giovarsi della pensione di cittadinanza. Amontano a oltre 4 milioni e mezzo le pensioni minime attualmente inferiori ai 750 euro al mese, ma Il Messaggero stima che l’incremento a 780 euro sarà solo per 700mila fortunati, concentrati in 550mila nuclei familiari, per un costo a carico dello Stato di 2 miliardi di euro. Il motivo è la scrematura che avverrà in base agli immobili posseduti: solo se il reddito familiare sarà sotto i 9.360 euro annuali, e non si avranno immobili di valore superiore a 30mila euro oltre la casa di abitazione, si avrà diritto al sussidio.