Rapporto Censis 2017: la ripresa economica c’è, ma cresce “l’Italia del rancore”
Un Paese in cui la ripresa c’è, come confermano tutti i principali indicatori economici. E l’industria va, grazie al settore manifatturiero, all’export e al turismo da record che rappresentano i baricentri della ripresa. Ma cresce anche il rancore. Questa l’Italia dipinta dal 51esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese per il 2017, presentato oggi al Cnel dal direttore generale Massimiliano Valerii e dal segretario generale Giorgio De Rita.
La ripresa c’è, fatta eccezione degli investimenti pubblici: -32,5% in termini reali nel 2016 rispetto all’ultimo anno prima della crisi. È l’industria, afferma il Censis, uno dei baricentri della ripresa. L’incremento del 2,3% della produzione industriale italiana nel primo semestre del 2017 è il migliore tra i principali Paesi europei (Germania e Spagna +2,1%, Regno Unito +1,9%, Francia +1,3%). E cresce al +4,1% nel terzo trimestre dell’anno. Tra le notizie certamente positive c’è l’inarrestabile capacità di esportare delle aziende del made in Italy: il saldo commerciale nel 2016 è pari a 99,6 miliardi di euro, quasi il doppio del saldo complessivo dell’export di beni (51,5 miliardi).
Non solo buone notizie. “Persistono – avverte il Censis – trascinamenti inerziali da maneggiare con cura, come il rimpicciolimento demografico del Paese, la povertà del capitale umano immigrato, la polarizzazione dell’occupazione che penalizza l’ex ceto medio. Non si è distribuito il dividendo sociale della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale crea rancore”. Tanto che, secondo il rapporto Censis, “la ripresa registrata in questi ultimi mesi sembra indicare, più che l’avvio di un nuovo ciclo di sviluppo, il completamento del precedente”. E così, dai numeri diffusi oggi, emerge che l’87,3% degli italiani appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, come l’83,5% del ceto medio e anche il 71,4% del ceto benestante. E la paura del declassamento sembra essere diventato il nuovo fantasma sociale. Il Censis sottolinea che è una componente costitutiva della psicologia dei millennials: l’87,3% di loro pensa che sia molto difficile l’ascesa sociale e il 69,3% che al contrario sia molto facile il capitombolo in basso.
Lavoro: penalizzati operai, artigiani e impiegati
Sul tema lavoro, il Censis mette in evidenza come la polarizzazione dell’occupazione penalizza operai, artigiani e impiegati. Nel periodo 2011-2016 operai e artigiani diminuiscono dell’11%, gli impiegati del 3,9%. Di contro, le professioni intellettuali crescono dell’11,4% e, all’opposto, aumentano gli addetti alle vendite e ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato (+11,9%). Nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti allo spostamento e alla consegna delle merci (+11,4%) nella delivery economy.
Sul tavolo c’è una questione significativa. Solo il 26,2% della popolazione italiana di 30-34 anni è in possesso di un titolo di studio di livello terziario: penultimi in Europa, prima solo della Romania (25,6%) e a distanza da Regno Unito (48,2%), Francia (43,6%), Spagna (40,1%) e Germania (33,2%). “La scarsa attrattività dell’istruzione terziaria in Italia scaturisce dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro per e qualifiche più elevate e da un’offerta basata nel nostro Paese quasi esclusivamente sui percorsi accademici e poco professionalizzanti”, si legge nel rapporto presentato oggi a Roma.
Il quadro che emerge vede così da un lato una quota di laureati troppo bassa, dall’altro il mercato del lavoro non riesce ad assorbirne a sufficienza. Nel 2016 solo il 12,5% delle assunzioni previste dalle imprese riguardava laureati. Nell’ultimo anno il tasso di disoccupazione dei laureati 25-34enni è stato pari al 15,3%, non distante da quello relativo all’intera coorte d’età (17,7%). Stipendi bassi (in media la retribuzione mensile netta dei laureati magistrali biennali a cinque anni dalla laurea è di 1.344 euro in Italia, all’estero di 2.202 euro), ampia quota di occupati sovraistruiti rispetto al lavoro che svolgono (il 37,6%), esiguo differenziale retributivo rispetto a chi si ferma al diploma (+14%).
Italia, il Paese con l’età di accesso alla pensione più alta d’Europa (solo dopo la Grecia)
Il Censis si sofferma anche sui rischi del mancato consenso sociale sull’età pensionabile. Secondo il rapporto, l’Italia è il Paese con l’età di accesso alla pensione più alta d’Europa, preceduto solo dalla Grecia. Per gli uomini 66 anni e 7 mesi nel settore pubblico, nel privato e per il lavoro autonomo. Per le donne 66 anni e 7 mesi nel settore pubblico, 65 anni e 7 mesi nel privato e 66 anni e 1 mese per le lavoratrici autonome. In media negli altri Paesi europei si va in pensione a 64 anni e 4 mesi per gli uomini e a 63 anni e 4 mesi per le donne. E il gap è destinato ad aumentare nel prossimo futuro. In media, l’età alla quale gli italiani pensano che andranno in pensione è 69 anni, ma l’età alla quale vorrebbero andarci è 62 anni. Nel periodo 2007-2017 diminuisce dal 47,8% al 40,8% la quota di cittadini convinti che il loro reddito in vecchiaia sarà adeguato, passa dal 23,4% al 31,2% la percentuale di chi è convinto che percepirà un reddito appena sufficiente a sopravvivere, sale dal 18% al 21,7% la quota che ritiene che avrà un reddito insufficiente.