Reddito di cittadinanza escluso per chi si dimette dal lavoro volontariamente
Ancora non c’è un testo definitivo ma dalle prime indiscrezioni della bozza di decreto che circola nelle ultime ore iniziano a delinearsi i contorni del reddito di cittadinanza, il cavallo di battaglia del Movimento Cinque Stelle, la misura di sostegno prevista dallo Stato per chi si trova in difficoltà economiche e senza un lavoro.
Norma anti-furbetti: cosa prevede
Il decreto legge doveva essere esaminato già questa settimana ma alla fine è stato deciso per un rinvio tra giovedì e venerdì della prossima settimana e come ha precisato il premier Giuseppe Conte “le ragioni del differimento del reddito di cittadinanza stanno nel fatto che vogliamo fare le cose per bene: non è concessione elettorale ma manifesto di questo governo”. Una misura che ancora non è stato introdotta ma ha provocato polemiche specie da chi l’accusa di diventare uno strumento a disposizioni dei fannulloni. Per evitare ciò, a quanto scrive oggi Il Sole 24 Ore, nel decreto è stata appositamente inserita una norma anti-furbetti. Cosa significa? Che il reddito di cittadinanza non verrà erogato per un periodo di 1 anno a quei nuclei familiari in cui un soggetto diventa disoccupato dopo aver dato le dimissioni volontarie dall’azienda, tranne nel caso di dimissioni per giusta causa. Inoltre il reddito di cittadinanza sarà compatibile con il godimento della Naspi, l’indennità di disoccupazione, e con altri strumenti di sostegno al reddito a condizione che il beneficiario abbia i requisiti economici e patrimoniali per accedervi.
Unimpresa: bene la norma ma occorre fare di più per le imprese
Plaude all’iniziativa del governo Unimpresa che tramite il suo presidente Giovanna Ferrara rimarca però alcune criticità connesse alla misura in primis la mancanza di incentivi per le aziende. “Va bene la norma anti furbetti inserita nel decreto attuativo della legge di bilancio per dare il via al cosiddetto reddito di cittadinanza. Restano, tuttavia, le perplessità, che abbiamo già manifestato, in relazione a una misura che sembra troppo vicina a un sussidio statale e da sola non basta a creare nuova occupazione. Per le aziende è fondamentale avere incentivi significativi e soprattutto strutturali: ciò che impedisce, di fatto, la creazione di nuovi posti di lavoro è il peso del cuneo fiscale ed è su quello che il governo deve intervenire quanto prima”. Unimpresa inoltre evidenzia come, in base ad un sondaggio a campione realizzato dal Centro studi tra le oltre 100.000 aziende associate, la norma che introduce in Italia il reddito di cittadinanza corre il rischio di essere aggirata e può far esplodere il lavoro nero. “L’architettura della misura si presta infatti a diverse manipolazioni, anche con sostanziali accordi tra le imprese e i lavoratori, appartenenti a categorie più deboli” dice l’associazione. “Chi ha un reddito mensile inferiore a 1.000 euro potrebbe infatti “accettare” di buon grado il licenziamento da parte del dato dei lavoro, percepire il reddito di cittadinanza (che assegna una “paga” mensile fino a 780 euro), continuare a lavorare con un salario in nero e più contenuto rispetto a quello regolare. I vantaggi ci sarebbero sia per i lavoratori, perché la somma di reddito di cittadinanza e salario in nero sarebbe superiore alla paga regolare; sia per i datori di lavoro, perché risparmierebbero dal 30% al 60% sul costo del lavoro pur potendo avere comunque la stessa prestazione lavorativa. Commercio, turismo, agricoltura, servizi di manutenzione e di pulizia sono i settori nei quali si potrebbero registrare i maggiori casi di anomalia e distorsione. Lavoratori part time e con stipendio inferiore a 1.000 euro mensili quelli potenzialmente più interessati a valutare forme di aggiramento e violazione della misura” conclude Unimpresa.