Sanità: quasi 20 milioni di italiani costretti a pagare di tasca propria per prestazioni essenziali
Una vergogna, dati non degni di un Paese civile. Così l’Unione Nazionale dei Consumatori commenta i dati del IX Rapporto Rbm-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata, resi noti al Welfare Day 2019 secondo cui sono ben 19,6 milioni gli italiani costretti a pagare di tasca propria per ottenere prestazioni essenziali prescritte dal medico. Il rapporto mette in luce il calvario delle liste d’attesa visto che servono in media 128 giorni per una visita endocrinologica, 97 per una mammografia, 75 per una colonscopia, 65 per una visita oncologica.
Sanità: 20 milioni di italiani pagano di tasca propria
Nell’ultimo anno il 35,8% degli italiani non è riuscito a prenotare, almeno una volta, una prestazione nel sistema pubblico perché ha trovato le liste d’attesa chiuse. Dallo studio emerge che per ottenere le cure necessarie (accertamenti diagnostici, visite specialistiche, analisi di laboratorio, riabilitazione, ecc.), tutti devono fare lo slalom tra pubblico e privato, per poi pagare di tasca propria per la sanità. E sono 13,3 milioni le persone che a causa di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico che nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta. Nell’ultimo anno il 44% degli italiani si è rivolto direttamente al privato per ottenere almeno una prestazione sanitaria, senza nemmeno tentare di prenotare nel sistema pubblico. Nel 2018 la spesa sanitaria privata è lievitata a 37,3 miliardi di euro: +7,2% in termini reali rispetto al 2014. Nello stesso periodo la spesa sanitaria pubblica ha registrato invece un -0,3%. Tutti, al di là della propria condizione economica, sono chiamati a mettere mano al portafoglio per accedere ai servizi sanitari necessari.
UNC: “Non si sacrifichino le detrazione sanitarie per la flat tax”
Una vergogna. Dati non degni di un Paese civile” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Purtroppo, per chi ha redditi bassi, questi tempi di attesa biblici equivalgono spesso ad una mancata assistenza medica, ad una rinuncia alle cure” prosegue Dona. “Il timore è che, per fare la flat tax, si riducano le detrazioni per le spese sanitarie nella dichiarazione dei redditi, con il forte rischio di aggravare ulteriormente questa già grave situazione, aumentando le disparità sociali e riducendo, ancor di più, l’accesso alle prestazioni sanitarie” conclude Dona.