Sciopero Mps, il grido dei sindacati: ‘Non siamo contro UniCredit’ ma ‘banca rischia spezzatino’. E la Bce torna su Carige
Il giorno dello sciopero dei dipendenti di Mps è arrivato: oggi, venerdì 24 settembre, i bancari dell’istituzione senese perennemente sotto i riflettori per le incertezze sul suo destino incrociano le braccia.
Lo sciopero era stato annunciato con una nota diffusa dalle segreterie di Coordinamento Banca Monte dei Paschi Siena, firmata da Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin, qualche giorno dopo la diffusione di un comunicato unitario, in cui i sindacati avevano espresso tutto il loro sconcerto per i molti punti oscuri dell’operazione Mps-UniCredit orchestrata dal Mef, maggiore azionista di Mps con una quota del 64%.
Nel comunicato, veniva aspramente criticato il modo in cui il dossier veniva portato avanti, snobbando il ruolo del sindacati.
Il titolo di quel comunicato unitario diceva tuto: “QUELLO CHE IL MEF E UNICREDIT NON DICONO”.
Nel testo si parlava di “indubbie agevolazioni” a favore di UniCredit, e dei troppi punti interrogativi sul futuro dei 21.000 dipendenti del Monte dei Paschi; emergev in particolare il dubbio/sospetto che, anche con il ricorso al Fondo di solidarietà, l’assegno di diritto ai lavoratori avrebbe potuto subire “modifiche peggiorative” o, anche, che gli esuberi non sarebbero stati volontari, come invece prestabilito.
Tutto questo, a fronte di una “posta altissima”: il futuro della banca.
I sindacati hanno proclamato infine lo sciopero nei primi giorni di settembre con una nota in cui era evidente la stizza provata per non essere stati ancora interpellati:
“Le Lavoratrici e i Lavoratori del Gruppo MPS hanno il diritto di conoscere con trasparenza quale sarà il loro destino lavorativo, quali sono le aziende coinvolte in questa vicenda (Unicredit, MCC, altre società che magari neppure applicano il Contratto del Credito?), quali potrebbero essere le loro mansioni (lo stesso lavoro, un lavoro diverso, magari meno qualificato?) e quale sarà il luogo di lavoro (lo stesso luogo o uno diverso, magari più lontano?). E per i paventati esuberi, la copertura economica del Fondo di Solidarietà sarà immodificata? E la permanenza sarà effettivamente allungata a 7 anni?”.
Mps, i sindacati: ‘Non è sciopero contro UniCredit’
Dopo giorni in cui si sono rincorse voci su fino a 7000 esuberi, l’Mps Day è arrivato.
I sindacati hanno diffuso una lettera aperta in cui hanno ribadito le loro posizioni.
“Siamo le lavoratrici e i lavoratori del Gruppo Monte dei Paschi di Siena – si legge nel documento congiunto Fabi, Uilca, First, Fisac, Unisin- In questi anni avete sentito parlare della nostra Banca come di un problema. Invece noi siamo le persone che, nonostante le difficoltà, hanno lavorato con dedizione per rendere alla nostra clientela un servizio competente e rispondente alle esigenze. Oggi siamo in sciopero perché il nostro futuro è incerto. La responsabilità non è nostra ma siamo noi, lavoratrici e lavoratori del Gruppo Monte dei Paschi di Siena, a rischiare di pagarne il conto. Un conto salatissimo. Oggi siamo in sciopero perché meritiamo rispetto e per chiedere di essere coinvolti da subito nel progetto che deve riguardare il complesso dei dipendenti dell’intero Gruppo – e non solo una parte – per contrattare le garanzie di un futuro dignitoso e sostenibile. Per tutte e per tutti noi. Vi chiediamo lo sforzo di comprendere le nostre ragioni e di essere solidali con la nostra protesta”.
Così Nino Baseotto, segretario generale della Fisac Cgil:
“E’ inaccettabile che il ministro dell’Economia che è l’azionista di maggioranza di Mps si ostini a non incontrare i lavoratori. È uno sciopero necessario perché sono in gioco migliaia di posti di lavoro e il futuro professionale di lavoratori che nessuna responsabilità hanno dei ripetuti errori delle gestioni succedutesi alla guida di Mps”, ha detto, stando a quanto riportato dall’agenzia di stampa Ansa.
“Oggi c’è l’ipotesi di acquisizione da parte di UniCredit – ha continuato Baseotto – i lavoratori e il sindacato non possono accettare che tutto si decida senza essere ascoltati, senza un confronto, senza poter fare le proprie proposte e senza far valere le proprie ragioni. Non è uno sciopero contro UniCredit, ma la richiesta civile di un sindacato responsabile pronto a trattare soluzioni credibili che salvaguardino l’occupazione”.
La stessa richiesta è arrivata da altre sigle sindacali, come First-Cisl e Cisl Toscan:
“Il Mef convochi subito le Federazioni nazionali di categoria sulla vicenda di Banca Mps”.
Mps, First Cisl Veneto: ‘Banca rischia spezzatino, inaccettabile venga trattata come decotta’
Ha detto la sua anche Giancarlo Pederzolli, segretario generale di First Cisl Veneto, stando a quanto riporta il sito padovaoggi.it:
“Molto stranamente una banca dove l’azionista di maggioranza è lo Stato cioè la comunità nazionale, sta andando verso un cambiamento totale di proprietà, assetti, condizioni di lavoro e di vita di migliaia di lavoratori senza che finora ci sia stato il benché minimo dialogo con il Sindacato. La Banca rischia lo ‘spezzatino’ e i lavoratori hanno un futuro incerto, ma tutto viene trattato non come un problema della comunità ma come una semplice operazione di aggregazione da libero mercato”.
Secondo il Segretario First Cisl Veneto, inoltre, “è inaccettabile che Mps venga trattata come una banca decotta, insolvente. L’ultima semestrale mostra che la banca è in deciso recupero. Nonostante la carenza di capitale determinata dall’operazione Hydra per il recupero degli sugli Npl (i ‘crediti deteriorati’), i tagli al personale e la chiusura di molte filiali, i ricavi sono saliti del 7,7% e il volume del risparmio gestito dell’11%”.
Un presidio dello sciopero è a Piazza Salimbeni a Siena, la piazza che ospita la sede storica del Monte dei Paschi; presidi anche a Roma, in piazza Montecitorio, Milano (in piazza Fontana) e Bari (in piazza Aldo Moro).
Messaggi di solidarietà sono arrivati dalla segreteria di Coordinamento Fisac CGIL di Banca Popolare di Bari, dal coordinamento sindacale Intesa SanPaolo della Toscana e di Carige.
Certo, le elezioni suppletive a Siena del prossimo 3-4 ottobre sono sicuramente un fattore che sta rallentando il dossier Mps-UniCredit, sempre che si concretizzi: l’annuncio del deal – o flop – delle trattative tra il Tesoro e UniCredit arriverà infatti solo quando dall’arena della finanza sarà sgomberata la politica, che continua a ossessionare la banca senese, in un modo o nell’altro.
Dalle ultime indiscrezioni, è emerso che il Mef potrebbe star lavorando anche a un piano B, che non necessariamente preveda Piazza Gae Aulenti: non è un mistero, infatti, che Andrea Orcel voglia solo il meglio del meglio di Siena, a fronte di costi non indifferenti che lo Stato dovrebbe sostenere per garantire il buon fine dell’operazione.
Le indiscrezioni sul futuro del Monte si sono riciclate in questi ultimi giorni:
“A complicare ulteriormente il quadro ci sono le pressioni della politica – ha scritto qualche giorno fa La Stampa – Letta, che giovedì scorso ha incontrato i delegati della Fiba-Cisl di Mps, ha ribadito più volte che l’opzione Unicredit non vada perseguita «a tutti i costi». Dal versante opposto la Lega, che con Salvini è tornata parlare di una grande «banca nazionale» che metta insieme sotto il cappello pubblico Bari, Carige e Mps“.
L’incertezza è stata scontata in modo particolare dai bond emessi da Mps.
In tutto questo c’è l’altra patata bollente del sistema bancario italiano: Carige.
Stando a quanto riportato oggi da Il Sole 24 Ore, il dialogo tra l’istituto e la Bce è “continuo”, focalizzato su “una soluzione che metta definitivamente in sicurezza la banca ligure. Francoforte, a quanto risulta al Sole 24Ore da più fonti, nel corso delle ultime settimane avrebbe infatti invitato la banca e il suo azionista di riferimento, il Fondo interbancario per la tutela dei depositi, a studiare un piano alternativo in caso di allungamento dei tempi nella ricerca di un partner che, al momento, ancora non si è palesato”.
“Sullo sfondo, del resto – scrive ancora il quotidiano di Confindustria – aleggia l’ipotesi di un rafforzamento da 400 milioni, di cui si dovrebbe fare carico il Fitd stesso nella seconda parte del 2022, in particolare in caso di soluzione stand alone”.
Carige è stata salvata alla fine del 2019 per la quarta volta in sei anni, dopo aver bruciato dal 2014 in poi quasi 2,2 miliardi di euro circa di ricapitalizzazioni messe in atto.
A rivelare quelle pesanti perdite era stato nel settembre del 2019 uno dei commissari straordinari della banca, Fabio Innocenzi, che aveva ricordato come, dal 2014 fino ad allora, la banca avesse perso il 98,3% dei circa 2,2 miliardi di ricapitalizzazioni fatte.
Nel dettaglio erano stati tre gli aumenti di capitale che si erano susseguiti in quegli anni, rispettivamente per 850, 800 e 560 milioni.
La situazione di Carige si è inevitabilmente complicata con le richieste che sono state presentate dal secondo azionista, Cassa centrale banca che in primavera ha presentato una proposta per esercitare il suo diritto di opzione e acquisire la quota dell’80% dell’Fitd, tale da replicare il modello Intesa-banche venete, oltre a volere anche una dote da 500 milioni: proposta considerata piuttosto esosa, che ha mandato all’aria i piani precedenti, rigettando Carige nell’arena del risiko bancario.
Da lì (marzo 2021) sono tornati i timori per il futuro della banca, con il Fondo interbancario che cerca tuttora un acquirente a cui mollare la sua quota. L’acquirente è ancora latitante, contrariamente a quanto i primi rumor avevano lasciato pensare: mesi fa si parlava infatti di un interesse di Banco BPM, di Credem e di alcuni fondi di private equity.
Si facevano anche i nomi di Bper e Credit Agricole, (quest’ultima ha già fagocitato CreVal).
Banco BPM sembra ora un predatore meno probabile, visto che il suo AD Giuseppe Castagna non scalpita neanche più per dare il via al risiko bancario, dopo averlo auspicato per tanto tempo. D’altronde, Castagna ha spiegato anche perché non guarderebbe Carige: “Parliamo di una regione dove siamo già il secondo gruppo, con il marchio Banco di Chiavari e della Riviera Ligure”. E in ogni caso “Carige, con 20 miliardi di attivi, non sarebbe per noi un’operazione trasformativa. Infine, abbiamo esperienza di operazioni di ristrutturazione e sappiamo che il mercato le apprezza soltanto quando sono completamente concluse”.