Tav, si fa non si fa? L’opzione del voto in Parlamento, mentre il progetto rimane ostaggio elezioni Ue
La crisi di governo sarà stata anche sventata, ma gli italiani in queste ore hanno poca chiarezza su cosa accadrà alla Tav.
Anche perché, a fronte di un Luigi Di Maio trionfante, c’è un Matteo Salvini che afferma che l’opera non è stata bloccata, e che dunque si andrà avanti. Il Messaggero riporta le parole del vicepremier, leader della Lega e ministro dell’Interno: “Mi sembra che l’opera non sia stata bloccata. Conte non potrà bloccarla, le procedure vanno avanti, e i bandi o come li vogliamo chiamare non si possono fermare con una lettera. Ma soltanto tramite un voto del Parlamento, visto che si parla di un trattato internazionale, o con un atto del Consiglio dei ministri”.
L’attenzione è soprattutto su questa frase: i bandi non si possono bloccare se non con un voto del Parlamento o un atto del Consiglio dei ministri. L’auspicio arriva anche da un altro leghista, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti che sottolinea che l’ultima parola spetta al Parlamento.
A Mezz’ora in più, Giorgetti rende noto che oggi partiranno gli “avis de marchés”, ovvero gli “inviti a presentare la candidatura” per i primi tre lotti, in territorio francese, per scavare 45 chilometri del tunnel di base della Tav.
Bandi che, spiega Il Sole 24, “entro sei mesi saranno revocabili. Una mossa – giocata sul piano giuridico e lessicale – che evita, per ora, la crisi di governo perché permette sia alla Lega che al M5s di cantare vittoria. «I bandi partono», dice il partito di Matteo Salvini. «Partiranno tra sei mesi solo se ci sarà l’ok italiano a un’opera in toto ridiscussa», ribattono dal Movimento di Luigi Di Maio.
In ogni caso sulla Tav Giorgetti puntualizza: «Ricordatevi che per fermare definitivamente la Tav occorre un passaggio parlamentare perché si tratta di un Trattato internazionale approvato dal Parlamento e né Conte né il Cdm può prendere decisioni sopra il Parlamento» ha affermato.
E si mette in evidenza anche lo sfogo del presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino che, nel commentare il compromesso sulla Tav, scrive:
“E’ come se il governo dicesse di far partire le manifestazioni d’interesse, sapendo già che i capitolati d’appalto non saranno mai affidati. una roba da Repubblica delle banane”.
Dal canto suo, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli non ha alcun timore: “Non sono preoccupato: troveremo una sintesi con la Lega, che ha accettato la nostra impostazione”, afferma in un’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano. E, riguardo alle gare Telt, in questo modo -spiega – “abbiamo più tempo per ridiscutere gli accordi con Francia e Ue E se non facciamo gli appalti non rischiamo penali”.
Toninelli aggiunge: “Se siamo arrivati al rinvio dei bandi, è anche grazie all’istruttoria che ho condotto in questi mesi”. E, in merito alle voci che parlano di sue possibili dimissioni, con la Lega – magari proprio dopo le elezioni europee – che si ‘appropria’ del suo ministero, Toninelli ammette:
“Gestisco decine di dossier delicatissimi, non mi stupisce che qualcuno non mi voglia lì. Ma io sento il sostegno di tutto il Movimento, e l’ho avvertito anche nell’ultima assemblea congiunta. Non ho mai pensato di dimettermi”.
Detto questo, per avere un’idea dell’accordo con cui Lega e M5S sono riusciti a evitare lo scenario peggiore di una crisi di governo – che era stato dato quasi per scontato – bisogna riprendere la lettera con cui il premier Giuseppe Conte ha scritto ai vertici Telt, chiedendo di “astenersi, con effetti immediati, da qualsiasi ulteriore attività che possa produrre ulteriori vincoli giuridici ed economici per lo Stato italiano con riguardo ai bandi di gara”.
Conte ha annunciato che il governo si è impegnato a “ridiscutere integralmente” il progetto e che ha intenzione di parlare con la Francia e l’Unione europea.
“Ovviamente – ha sottolineato il presidente del Consiglio, in base a quanto riporta l’agenzia di stampa Adnkronos- non vogliamo che nel frattempo si perdano i finanziamenti europei già stanziati“. In sostanza, con la missiva, Conte ha ricalcato quanto prevede la clausola di dissolvenza, ossia la possibilità – prevista nel codice degli appalti francese – di non dare seguito alla procedura dei primi bandi entro sei mesi. Se dunque è vero che la procedura dei bandi prenderà il via oggi, con il cda di Telt, società italo-francese incaricata della realizzazione della Torino-Lione, che autorizzerà la pubblicazione degli avis de marché, è vero anche che la stessa società si limiterà “a svolgere mere attività preliminari, senza alcun impegno” per l’Italia.
Gli avis de marché insomma ci saranno, ma non ci sarà alcuna gara, il che significa che per sei mesi i lavori per la realizzazione della Tav non verranno affidati e che tutto rimarrà, praticamente, ‘congelato’. Attraverso la clausola di dissolvenza – i due governi, sia quello di Francia che di Italia potranno inoltre ritirarsi prima del via ufficiale ai cantieri.
Così spiega AdnKronos:
“La clausola di dissolvenza – prevista dal codice degli appalti francesi – consiste nella possibilità di fare marcia indietro sul progetto, ossia di non dare seguito alla procedura dei bandi. Questa deve essere invocata prima dell’invio dei capitolati, i documenti che Telt invia alle imprese ammesse a partecipare alla gara. Quando scadranno i sei mesi, quindi, Telt chiederà ai due governi, quello italiano e quello francese, se intendono andare avanti con i lavori. Il progetto della Tav, finanziato per il 25% dalla Francia, per il 35% dall’Italia e per il 40% dall’Unione Europea, è disciplinato da un trattato internazionale tra Francia e Italia ratificato dal Parlamento italiano nel 2017. Se il governo decidesse di fare marcia indietro, per non realizzare la Tav bisognerebbe modificare il trattato con un voto del Parlamento. Ma anche nel caso in cui Camera e Senato votassero a favore dello stop, non sarà possibile un’uscita unilaterale: per bloccare la Tav anche la Francia dovrebbe fare lo stesso. Difficile, però che Parigi rinunci all’opera. A questo punto la questione verrebbe risolta da un arbitrato internazionale, secondo quanto prevede la Convenzione di Vienna del 1969″.