Torna forte ansia spread, BTP scaricati con paura recessione-inflazione. Italia pagherà crisi più degli altri
BTP sempre più scaricati dagli investitori di tutto il mondo, l’effetto è sotto gli occhi di tutti: i tassi sui titoli di stato italiani schizzano al di sopra della soglia del 3% per la prima volta dal dicembre del 2018, con lo spread BTP-Bund che si allarga fin oltre quota 200. All’alba di una nuova crisi dei debiti sovrani europei, come nel 2011? E’ quanto teme Maximilian Uleer, strategist di Deutsche Bank, che ha parlato nelle ultime ore del rischio di una “Euro Crisis 2.0?”, avvertendo che il peso dei debiti nell’area potrebbe tornare ai livelli del 2011, nel caso in cui i rendimenti continuassero a salire.
L’alert è stato riportato da un articolo di Marketwatch. D’altronde, gli ingredienti sembrano esserci tutti: l’Europa è alle prese con un’inflazione galoppante provocata anche dagli effetti della guerra in Ucraina, scatenata dalla Russia di Vladimir Putin.
Sono sempre di più gli esponenti del Consiglio direttivo della Bce che riconoscono la necessità di procedere a un rialzo dei tassi, avviando quella normalizzazione della politica monetaria che vede protagoniste già la Fed e la Bank of England. Nelle ultime ore è stato invocato un rialzo dei tassi, da parte della banca centrale guidata da Christine Lagarde, già nel mese di giugno.
Focus sulle dichiarazioni rilasciate da Olli Rehn, governatore della Bank of Finland, banca centrale della Finlandia, ed esponente del Consiglio direttivo della Bce, che ha parlato della “necessità di impedire che un’ulteriore fiammata delle aspettative sull’inflazione diventi radicata, finendo con il riflettersi sul mercato del lavoro”.
“In altre parole – ha detto Rehn – dobbiamo impedire che si presentino effetti secondari. Di conseguenza, a mio avviso, dovremmo muoverci in modo relativamente veloce per arrivare a (tassi) allo zero e per continuare il nostro graduale processo di normalizzazione della politica monetaria. Ovviamente – ha sottolineato il banchiere- tutto ciò a condizione che la guerra tra la Russia e l’Ucraina non subisca una ulteriore escalation e non si intensifichi, al punto da far deragliare tutte le nostre stime e la stessa ripresa dell’economia”.
Queste parole, unite a quelle di Francois Villeroy de Galhau, membro del consiglio direttivo della Banca centrale europea, hanno fatto scattare l’alert sui mercati – già alle prese con lo stress Fed – mettendo sull’attenti anche gli economisti.
Lo strategist di Deutsche Bank, in particolare, ha fatto notare che i livelli dei tassi, sia in termini assoluti che relativi, sono aumentati dalla crisi dei debiti sovrani del 2011, facendo proprio il paragone tra i tassi decennali dei BTP e uelli dei Bund, e riferendosi praticamente allo spread BTP-Bund, che è risalito a quota 200.
“Soltanto in Germania e in Irlanda, dove le società si sono trasferite traendo vantaggio dalle tasse più basse, i ratio debiti-Pil sono scesi“. Certo, ha ammesso, “i tassi di interesse sono più bassi, con il rendimento medio ponderato sceso in modo significativo. La maturity dei debiti è inoltre più lunga”. Ciò non impedisce però a Uleer di paventare nuovi guai per l’Italia e la Spagna in particolare, paesi che “corrono di più il rischio di assistere a un aumento dei costi di interesse sul Pil fino i livelli del 2011”.
“Il peso dei debiti è sceso e la Bce ha spazio per alzare i tassi di interesse e per interrompere il suo programma di acuisti – ha detto ancora lo strategist – Ma i margini di libertà della Bce sono limitati. E se i tassi continueranno a salire per un periodo di tempo ancora più lungo, potremmo ritrovarci di fronte a una Crisi dell’Euro 2.0”.
Una chiamata hawkish nelle ultime ore ha visto come mittente, per l’appunto, anche François Villeroy de Galhau, il governatore della banca centrale della Francia e altro esponente del Consiglio direttivo della Bce, che ha detto che sarebbe a suo avviso ragionevole se i tassi dell’area euro salissero in territorio positivo (al momento i tassi sui depositi sono negativi -0,50%) entro la fine dell’anno.
Le parole dei due esponenti della Bce hanno alimentato il timore che l’Eurotower finisca con l’alzare i tassi tre volte quest’anno, di 25 punti base (se l’intenzione è di riportarli al di sopra dello zero, e non solo allo zero).
Gli smobilizzi sui BTP sono scattati all’indomani del panic selling che ha messo KO Wall Street, scatenato dal doppio spettro inflazione galoppante-paura di una recessione in Usa e nel mondo – già paventata secondo un recente sondaggio – i sell off hanno colpito nel Day After il rialzo dei tassi Usa di 50 punti base annunciato dalla Fed di Jerome Powell, provocando tonfo del Nasdaq pari a – 5% e del Dow Jones di oltre 1000 punti.
L’effetto borsa Usa si è propagato nel mondo, con gli asset considerati più rischiosi che hanno pagato il clima di avversione al rischio, BTP in primis.
D’altronde, già ieri i tassi sui Tresuries, ovvero i tassi dei titoli di stato made in Usa – tradizionalmente considerati safe asset – erano tornati a sfondare la soglia del 3%. Non deve destare alcuna meraviglia, dunue, se anche i tassi sui BTP decennali abbiano fatto lo stesso, in un contesto in cui la garanzia del governo Draghi, pur ancora apprezzata dai mercati, non è considerata più sufficiente. Colpa della guerra in Ucraina scatenata dalla Russia di Vladimir Putin, che ha cambiato, proprio quando il mondo intero si stava riprendendo dallo shock della pandemia Covid, i connotati dell’economia mondiale.
Fa venire quasi i brividi constatare che i tassi sui BTP decennali viaggiano a un valore più che doppio rispetto a tre mesi fa quando, all’inizio di febbraio, oscillavano attorno all’1,42%. Ancora più impietoso e difficile da digerire il confronto con il valore a cui erano scesi ai tempi dell’avvento del governo Draghi, che aveva alimentato una tale euforia sulla carta italiana da far scivolare i rendimenti decennali dei BTP fino allo 0,45% nel febbraio del 2021.
Il panic selling che sta investendo i BTP si spiega sia con il debito pubblico monstre dell’Italia che con l’esposizione che l’economia del paese ha nei confronti della Russia, paese diventato ormai paria a causa delle sanzioni inflitte dalla comunità internazionale, Europa e Usa in primis, contro Mosca.
L’effetto boomerang delle sanzioni è destinato a essere scontato soprattutto dall’Europa, particolarmente esposta verso il regime di Putin in quanto dipendente in toto dal gas russo, e alle prese con l’impennata dei debiti pubblici sulla scia degli stimoli fiscali che i vari governi hanno lanciato negli ultimi anni per blindare le loro economie dagli effetti economici devastanti dei lockdown da Covid. L’Italia, considerata da anni l’anello debole dell’Europa, è tornata nel radar degli investitori, come hanno dimostrato gli smobilizzi sui BTP. Va detto che l’inflazione galoppante in tutta l’area euro si è tradotta in un vendita generale dei debiti sovrani europei, con i tassi decennali sui Bund tedeschi che sono balzati fino all’%, anticipando imminenti rialzi dei tassi da parte della Bce.
Italia, Scope: impatto sanzioni contro Russia non temporaneo
Uno spiraglio di luce per l’Italia dipendente così tanto dalla Russia di Putin arriva con un report di Scope Ratings: “Italy: lower growth, higher inflation than euro area peers, yet EU funds should avert stagflation”, ovvero: “Italia, crescita più bassa, inflazione più alta rispetto agli altri paesi dell’area euro. Nonostante uesto i fondi Ue dovrebbero riuscire a sventare la stagflazione“.
Così Alvise Lennkh, Executive Director e Giulia Branz, analista della divisione dei debiti sovran di Scope Ratings:
“La prosecuzione della guerra tra la Russia e l’Ucraina condizionerà in modo avverso tuti i paesi dipendenti dal petrolio e dal gas russi. Le economie caratterizate da settori manifatturieri esposti verso l’estero sono esposte anche alle strozzature che continuano a colpire le catene di approviggionamento, a causa della continua strategia zero Covid della Cina. In Europa, l’Italia (BBB+/Stable) è tra i paesi più vulnerabili, insieme alla Germania (AAA/Stable)”.
I due analisrìti di Scope hanno continuato:
“La dipendenza dell’Italia dall’energia della Russia – che ha inciso sui consumi del 2020 per il 50% nel caso del carbone, il 40% per il gas e il 17% per il petrolio – e le sanzioni sempre più severe (contro la Russia) da parte dell’Ue – che sembrano includere anche l’embargo sul petrolio entro la fine dell’anno e forse sul gas nel medio termine – annebbiano le prospettive sulla crescita e su prezzi stabili per il periodo 2022-2024“.
Per gli esperti, “a prescindere dagli sforzi del governo (Draghi), volti a sostituire il petrolio e il gas russi nel breve termine, qualcosa che potrebbe solo compensare in modo l’impatto immediato di un embargo, l’assenza di sostituti convenienti e disponibili della quantità (di energia) necessaria si tradurrà in un’inflazione più alta e in una bassa crescita (del Pil) nel corso dei prossimi nni”.
Di conseguenza, “crediamo che l’impatto delle sanzioni contro la Russia sull’Italia sarà tutt’altro che temporaneo“.
Per questo l’outlook di Scope Ratings sul Pil dell’Italia per il 2022 è stato rivisto al ribsso al range +2%-2,5% dalla crescita pari a +4% stimata prima della guerra, mentre per il 2023 le prospettive sono di un’espansione tra +1,5% e +2%.
“Il risultato è che l’Italia tornerà al livello di crescita precedente la pandemia solo nel quarto trimestre di quest’anno, in ritardo di 6-9 mesi rispetto a quanto previsto in precedenza”.
L’outlook di Scope presuppone tra l’altro che non ci siano problemi nell’approviggionmento del gas.
Nel caso in cui si dovessero invece manifestare le conseguenze peggiori che sono state illustrate da Bankitalia, l’economia italiana, si legge ancora nel report, si contrarrebbe dello 0,5%-1% nel 2022 e nel 2023, a fronte di un aumento dell’inflazione attorno all’8% nel 2022.
In questo scenario, “presupponendo una crescita annua dell’1% circa e un’inflazione del 3% circa nel 2023-26, ampiamente in linea con le stime dell’Fmi, l’Italia soffrirebbe la combinazione peggiore di bassa crescita e di elevata inflazione tra le economie dei paesi avanzati, riflettendo la vulnerabilità nel breve termine verso il balzo dei prezzi energetici e le deboli prospettive di crescita nel medio termine”.
La stagflazione sarebbe lo scenario più probbile, se non fosse per i finanziamenti significativi dell’Ue. L’Ue – viene ricordato – si prepara a sborsare 70 miliardi di euro circa, o il 4% circa del Pil del 2021, per l’Italia, nel periodo compreso tra il 2022 e il 2024, in base al Next Generation EU, equivalente a un contributo alla crescita annuale pari al +0,5% del Pil.