UniCredit: Quota 100 e altre opzioni per i 6000 esuberi. Governo sull’attenti, Fabi: ‘ossessione tagli’
Anche Quota 100 e opzione donna tra le forme di esodo che possano consentire a UniCredit di gestire i 6.000 esuberi in Italia, annunciati nelle ultime ore con una lettera ai sindacati. Va in scena l’ennesimo dramma del lavoro in Italia, che mette in allerta il governo M5S-PD. Il ministro del lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo, ha convocato i vertici di UniCredit per venerdì 21 febbraio, come emerge da una nota diramata dal Ministero. Le trattative tra UniCredit e i sindacati partiranno una settimana prima, venerdì 14 febbraio, praticamente tra tre giorni.
Unicredit, d’altronde, ha fretta, e vuole sbrigare la faccenda entro il primo trimestre di quest’anno. Nella missiva chiede di cercare “soluzioni condivise” , in particolare per coloro che maturano “il requisito pensionistico entro il 31 dicembre 2023 (con diritto alla pensione fino all’1 gennaio 2024 compreso)”. Per le altre uscite si “intende poi valutare in via prioritaria l’attuazione dello strumento del fondo di solidarietà di settore”. In relazione a questa soluzione la banca “ritiene sostenibile far riferimento all’uscita di personale più prossimo al diritto di pensione, con un anticipo medio rispetto al primo requisito pensionistico di 36 mesi, adottando finestre di uscita che garantiscano certezza di realizzazione degli obiettivi di riduzione”.
L’istituto “chiarisce sin da ora che, nell’ambito della valutazione, si terrà conto delle residue circa 400 richieste di accesso alla sezione straordinaria del fondo di solidarietà di settore raccolte e non accettate nell’arco di piano Transform 2019 tra la popolazione maturante il primo requisito pensionistico entro il 30 giugno 2024″.
Per quelli che “successivamente al termine della raccolta del precedente piano” hanno avuto “un anticipo della maturazione del proprio requisito pensionistico entro il 1/mo giugno 2024” la banca “conferma la disponibilità a gestirne la cessazione in via prioritaria entro la fine del primo semestre 2020”. Nell’ambito della trattativa verranno approfondite, per l’appunto, “ulteriori forme di esodo che consentano di ampliare le forme e/o le uscite” come “quota 100, opzione donna, riscatti di periodi non coperti da contribuzione”.
La doccia fredda per i dipendenti italiani arriva quasi parallelamente alle dichiarazioni che il numero uno di UniCredit, Jean Pierre Mustier, rilascia una intervista a Bloomberg TV, illustrando la politica più generosa sui dividendi annunciata giorni fa, con la comunicazione dei risultati di bilancio.
L’aumento dei dividendi e la possibilità del dividendo extra – spiega Mustier – dipenderanno dal piano industriale della banca e anche dai cambiamenti che interesseranno la cosiddetta regolamentazione CRD V. L’AD non si sbottona più di tanto e preferisce non dare dettagli su come avverrà l’aumento della cedola: se attraverso la distribuzione di dividendi o con una operazione di buyback azionario.
E’ vero che nella lettera ai dipendenti le ragioni di una tale batosta ai dipendenti vengono tutte spiegate: i prelievi, i pagamenti, i bonifici, e tutte le operazioni che si facevano tradizionalmente agli sportelli sono diminuiti del 55%. In termini assoluti — spiega Unicredit — ci sono state 20,3 milioni di operazioni in meno dai 36,8 milioni del 2016, con oltre 300 milioni di transazioni registrate in media solo negli ultimi dodici mesi sui canali «evoluti», ovvero web e via smartphone. Negli ultimi dodici mesi i prelievi allo sportello sono calati del 53% con 148 milioni eseguiti invece dagli sportelli automatici. Anche i bonifici si sono ridotti del 43% negli ultimi dodici mesi, con 100 milioni in tutto disposti da remoto.
SINDACATI SUL PIEDE DI GUERRA
La reazione dei sindacati non tarda ad arrivare. Così il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, in una nota:
Unicredit “continua ad avere un atteggiamento inaccettabile: l’amministratore delegato Jean Pierre Mustier si illude di poterci squadernare un piano a scatola chiusa, di fatto senza discutere i numeri, tutti già cristallizzati nella lettera di avvio di procedura sul confronto che ci è arrivata oggi”. “A queste condizioni, diventa difficile poter avviare un negoziato basato sul fair play. Non solo ribadiamo che, a fronte di ogni due eventuali esuberi, dovrà corrispondere almeno un’assunzione, ma anche che tutti gli argomenti del piano industriale, nessuno escluso, andranno condivisi con le organizzazioni sindacali. Quanto all’ossessione dei tagli, vale la pena sottolineare che a fine 2019 i costi totali del gruppo si sono attestati a 9,9 miliardi di euro, assai meno rispetto all’obiettivo prefissato a 10,6 miliardi. Vuol dire che il gruppo ha tagliato 700 milioni di troppo, di fatto senza motivo. E il cost-income, principale indicatore di redditività, è al 52% tra i livelli migliori d’Europa”. Inoltre, “Unicredit vuole concentrare il 70% dei tagli al personale e alle filiali in Italia, che però è l’area di maggior profittabilità del gruppo, a livello europeo. Insomma, idee confuse e solito piano per fare utili sulla pelle dei lavoratori”.
Dice la sua anche il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani: “Mentre annuncia l’aumento dei dividendi agli azionisti UniCredit si presenta ai sindacati con la richiesta di tagliare 450 sportelli e 6mila lavoratori. Anche se sono stati i lavoratori, con i loro sacrifici, a consentire alla banca di superare la crisi e tornare a macinare utili, come dimostrano i conti resi noti la settimana scorsa. Avevamo detto a dicembre, in occasione della presentazione del piano industriale, che la strategia di Mustier era incentrata su un sostanziale disimpegno dall’Italia: non siamo stati smentiti”.
“Un taglio di queste dimensioni – aggiunge Colombani – penalizza gravemente la presenza della banca sul territorio e minaccia di disperdere il patrimonio di relazioni con la clientela. Al contrario, c’è bisogno di rafforzare le competenze dei lavoratori perché siano in grado di svolgere al meglio i servizi di consulenza. Servono investimenti, non nuovi tagli, a cominciare dalle tecnologie digitali, il cui impiego, come dimostrato dal nostro studio, non determina riduzione dell’occupazione, a meno che questo non sia il fine perseguito dalle aziende”. Per Colombani, inoltre, “deve essere chiaro che non siamo disposti a discutere di esuberi se contemporaneamente non si parlerà anche di assunzioni. La nostra richiesta è che ogni due uscite sia prevista almeno un’assunzione”.