Finanza Notizie Italia Visco presenta bilancio Bankitalia e avverte su coronavirus. Confindustria shock: Pil -6%

Visco presenta bilancio Bankitalia e avverte su coronavirus. Confindustria shock: Pil -6%

31 Marzo 2020 12:05

Ha presentato il bilancio di Bankitalia del 2019 avvertendo che la redditività dell’istituzione dipende anche da come si evolverà la situazione di emergenza attuale, che si è creata con la diffusione del coronavirus. Nella relazione all’assemblea dei partecipanti al capitale, Ignazio Visco ha snocciolato numeri e paure, parlando di un’ansia che l’Italia e l’Europa condividono con il mondo intero: ansia da coronavirus, visto che è ancora prematuro capire quanto costeranno all’Italia e all’Europa quelle misure di contenimento, di lockdown e quarantena, che sono state varate in Italia nella speranza di contenere il diffondersi del COVID-19.

La situazione non è buona, e Visco non ha certo cercato di indorare la pillola: “l’impatto del coronavirus sul sistema economico-finanziario sarà di proporzioni molto ampie e profonde”, ha detto in occasione della presentazione del bilancio di Bankitalia.

Il Paese, l’Europa, il mondo intero condividono ansia e difficoltà nell’affrontare una sfida straordinaria. La repentina diffusione del nuovo coronavirus (Covid-19), oltre a minacciare gravemente la salute della popolazione e a mettere sotto estrema pressione i sistemi sanitari, ha sconvolto le nostre abitudini di vita, i processi di lavoro, il funzionamento delle scuole e delle università; l’impatto sul sistema economico-finanziario sarà di proporzioni molto ampie e profonde“.

L’ALLARME DRAMMATICO LANCIATO DA CONFINDUSTRIA: PIL -6%

Dopo Visco un alert più drammatico è stato lanciato dal Centro studi di Confindustria, che ha scioccato tutti con le sue previsioni sul Pil italiano del 2020, e non solo.

La stima, così come si legge negli Scenari economici stilati dal CSC, è di un crollo del prodotto interno lordo italiano pari a -6%, nel 2020, fermo restando però il presupposto che, nel mese di maggio, venga superata la fase acuta dell’emergenza sanitaria. Altrimenti, per il Csc se “la situazione sanitaria non evolvesse positivamente, le previsioni economiche andrebbero riviste al ribasso”.

Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive potrebbe costare, d’altronde, una percentuale ulteriore di Pil dell’ordine di almeno lo 0,75%, pari a circa 13,5 miliardi di euro.

Malcelata una certa impazienza degli economisti, accompagnata a irritazione, per quello che viene visto come un mancato intervento deciso da parte di Bruxelles: le istituzioni europee “sono all’ultima chiamata per dimostrare di essere all’altezza della situazione (…)..Dopo i consueti balbettamenti assai gravi in questa situazione, in queste settimane sono state già prese decisioni importanti. I massicci interventi della Bce, che hanno fermato per ora l’impennata dello spread sovrano per l’Italia; la sospensione di alcune clausole del Patto di Stabilità e Crescita, per la finanza pubblica; le misure temporanee sugli aiuti di Stato”. 

Ma non è sufficiente: è “cruciale un passo in più”, ovverol’introduzione di titoli di debito europei, fin troppo rimandata”. (riferimento al pomo della discordia che separa di nuovo l’Europa, ovvero ai coronabond).

L’Europa, insomma, è chiamata a compiere “azioni straordinarie per preservare i cittadini europei da una crisi le cui conseguenze rischiano di essere estremamente pesanti e di incidere duraturamente sul nostro modello economico e sociale”.

Già la crisi dei debiti sovrani del 2011, secondo gli economisti di Confindustria, aveva messo in evidenza le criticità dell’Unione europea. Oggi, si ripropongono gli stessi problemi:

“I limiti dell’assetto della governance europea sono nuovamente evidenziati dall’attuale crisi sanitaria. Il piano proposto finora dalla Commissione Ue è poca cosa e come al solito lascia ai singoli paesi la responsabilità di gestire la crisi. La sospensione del Patto di stabilità è emergenziale, indispensabile ma insufficiente”.

D’altronde, il Centro Studi di Confindustria stima che a fine 2020 l’indebitamento delle Amministrazioni Pubbliche italiane salirà al 5% del Pil, per poi scendere al 3,2% nel 2021. Il dato sconterà – spiegano gli esperti – anche la disattivazione completa, in deficit, della clausola di salvaguardia per un valore di 20,1 miliardi di euro (pari all’1,1% del Pil).

Il rapporto debito pubblico/Pil è atteso inoltre dagli analisti al 147% nel 2020, per l’effetto congiunto dell’ampliamento del deficit legato all’emergenza Covid-19 e della caduta del Pil nominale (-5,2%). Per il 2021, la previsione è di un calo al 144,3%.

Molto male anche per il tasso di disoccupazione, atteso salire all’11,2% dal 9,9% del 2019.

“Solo con soluzioni di salvaguardia dell’occupazione – ha avvertito il Csc nei suoi Scenari economici – si potrà contenere la distruzione di posti di lavoro”.

Gli economisti di Confindustria stimano che “l’occupazione nel 2020 cadrà dell’1,5% in termini di teste, del 2,5% in termini di Ula e del 3,1% in termini di monte ore lavorate”.

Mai nella storia della Repubblica ci si è trovati ad affrontare una crisi sanitaria, sociale ed economica di queste proporzioni”, si legge nella premessa del rapporto.

Con le imprese a rischio, l’Italia è a rischio:

“E’ urgente evitare che il blocco dell’offerta ed il crollo della domanda provochino una drammatica crisi di liquidità nelle imprese: a fronte delle spese indifferibili, tra cui quelle per gli adempimenti retributivi, fiscali e contributivi, e degli oneri di indebitamento, le mancate entrate prodotte dalla compressione dei fatturati potrebbero mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa di intere filiere produttive”. Gli appelli non si fermano: Bisogna evitare che “la crisi di liquidità diventi un problema di solvibilità, anche per imprese che prima dell’epidemia avevano bilanci e prospettive solide”.

Il coronavirus viene definito, in quanto shock che viene dall’esterno, come “un meteorite”, che rischia di provocare una “depressione prolungata” con un “aumento drammatico delle disoccupazione e un crollo del benessere sociale”.  E’ dunque vitale “agire subito, senza tentennamenti o resistenze: altri Paesi si stanno già muovendo in questa direzione”. Ultima chiamata all’Europa, insomma, perchè agisca presto. Ma ultima chiamata, sembra, anche all’Italia, al governo italiano, affinché vada oltre il decreto cura Italia.