America First di Trump continua a creare lavoro. Forte calo deficit per boom ‘preventivo’ export semi di soia
Il mercato del lavoro degli Stati Uniti conferma la propria solidità: nel mese di giugno, l’economia Usa ha creato 213.000 nuovi posti di lavoro, oltre i 200.000 stimati dal consensus. In rialzo, a sorpresa, il tasso di disoccupazione che, dopo essere precipitato al minimo degli ultimi 18 anni a maggio, al 3,8%, è risalito al 4%. Niente di preoccupante, tuttavia, visto che l’incremento si spiega principalmente con l’aumento della partecipazione alla forza lavoro, confermato dall’ingresso di 600.000 persone.
I salari orari, a cui gli economisti e la Fed in primis prestano una grande attenzione per comprendere le dinamiche dell’inflazione, sono saliti di 4 centesimi nel mese, a $26,98. Su base annua, la crescita è rimasta invariata al 2,7%.
L’aumento dell’occupazione ha interessato soprattutto i colletti bianchi, con 50.000 nuove posizioni aperte nel mese di giugno; le aziende manifatturiere hanno assistito a una crescita di posti di lavoro di 36.000 unità; l’occupazione è cresciuta inoltre rispettivamente di 25.000 e 13.000 unità nei comparti healthcare e delle costruzioni. L’unico segmento che ha sofferto una flessione è stato quello retail. Basti pensare che le società del comparto hanno tagliato 22.000 posti di lavoro, dopo averne creati 25.000 il mese scorso.
Altro dato reso noto in giornata è stato quello del deficit commerciale Usa. La comunicazione è arrivata proprio nel giorno in cui i dazi doganali da $34 miliardi che l’amministrazione di Donald Trump ha imposto alla Cina sono entrati in vigore.
I dati, che si riferiscono al mese di maggio, hanno messo in evidenza un calo del deficit di ben il 6,6%, al minimo in 19 mesi: il valore si è attestato a $43,1 miliardi, dopo i $46,1 miliardi di aprile, a un livello più basso rispetto ai $43,6 miliardi attesi dal consensus.
Si tratta di fatto del valore minimo dall’ottobre del 2016, che conferma il tratto discendente del deficit commerciale americano, proprio in un momento in cui i toni del presidente contro i suoi principali partner commerciali si fa più acceso. Negli ultimi tre mesi, il deficit ha sofferto infatti la riduzione più forte in 10 anni.
Esaminando bene il dato, emerge che la componente che ha contribuito in misura maggiore al balzo delle esportazioni – salite dell’1,9%, a $215,3 miliardi – è stata soprattutto quella dell’export dei semi di soia.
Il rialzo su base mensile è stato di ben +90% a maggio, fattore che può essere spiegato con la decisione di diversi paesi di acquistare i prodotti prima dell’imposizione dei dazi sui semi di soia Usa attesa dalla Cina. Le consegne di semi di soia sono quasi raddoppiate a $4,1 miliardi.
Le importazioni hanno messo a segno un rialzo dello 0,4%, a $258,4 miliardi, grazie all’ondata di acquisti record di beni capitali dall’estero.
Detto questo, a dispetto del forte calo del dato complessivo, il deficit degli Usa verso la Cina si è allargato ulteriormente, salendo a $32 miliardi, dai $30,8 miliardi precedenti.
Ciò che non piacerà affatto a Trump è che, ironicamente – se si considera la buona performance dell’indicatore – il deficit verso la Cina ha testato il record del mese di maggio della storia. Anche se poi, andando a scorporare la componente del petrolio, viene fuori che il deficit è stato allo stesso tempo il più basso dal marzo del 2017.