Che significa stagflazione e perchè non si rischia un replay dello shock degli anni ’70
Mentre le nuove stime del FMI evidenziano una revisione al ribasso, seppur lieve (+5,9% rispetto al +6% indicato in precedenza), si sussegue il ping pong di alert e commenti sullo scenario economico a cui si sta andando incontro.
Lo shock energetico ci sta portando realmente a una stagflazione? Di certo, la ripresa nella prima metà del 2021 ha recentemente lasciato il posto a una crescita decisamente più lenta e a un’impennata dell’inflazione ben al di sopra dell’obiettivo del 2% delle banche centrali, a causa degli effetti della variante Delta, delle strozzature dell’offerta sia nei mercati dei beni che del lavoro, e carenze di alcune materie prime, beni finali e lavoro.
Come rimarcato recentemente dall’economista Nouriel Roubini, Tra gli scenari possibili c’è una stagflazione con un’inflazione elevata e una crescita molto più lenta nel medio termine oppure un “surriscaldamento” con la crescita che accelererebbe man mano che le strozzature dell’offerta vengono eliminate, ma l’inflazione rimarrebbe ostinatamente alta, perché le sue cause risulterebbe non temporanee.
Bridgewater Associates, l’hedge fund numero uno al mondo fondato e guidato da Ray Dalio, ritiene che il vero rischio a cui fanno fronte i mercati sia proprio la stagflazione.
Alert ingiustificato?
C’è però chi ritiene l’alert stagflazione ingiustificato. “Carenza di energia significa volatilità, non stagflazione”, asserisce UBS nel suo CIO Weekly roundup. I prezzi del gas in Europa hanno toccato nuovi massimi la scorsa settimana a causa della rapida crescita della domanda con la riapertura delle economie. Dopo anni di sottoinvestimenti, il deficit non sarà facilmente risolvibile. “La prospettiva di carenze in caso di un inverno freddo ha intensificato le preoccupazioni sulla stagflazione, causando un sell-off sia di azioni che di titoli di stato all’inizio della scorsa settimana”, rimarca UBS.. Il presidente russo Vladimir Putin ha suggerito che il suo paese potrebbe aumentare le forniture all’Europa, ma con una limitata capacità di produzione di gas inutilizzata, i blackout elettrici rimangono un rischio finale se il rigido inverno si materializza.
Ma mentre gli investitori dovrebbero prepararsi a un’ulteriore volatilità man mano che la carenza si manifesta, UBS non prevede una stagflazione in arrivo. In primo luogo, le banche centrali hanno rassicurato gli investitori che esamineranno i movimenti a breve termine dei prezzi del carburante. Secondo, la quantità di energia utilizzata per generare un dollaro del PIL mondiale è scesa di quasi il 20% nell’ultimo decennio, e di oltre la metà dagli anni ’70, riducendo i potenziali danni derivanti dalle interruzioni dell’approvvigionamento. E sebbene la spesa dei consumatori possa essere influenzata da prezzi più alti, i risparmi sono insolitamente elevati a seguito dei blocchi COVID-19, fornendo un cuscino contro uno shock. Infine, spiega UBS, per il resto i fondamentali economici sono in buona forma. “La riapertura rimane sulla buona strada, con l’avanzare delle vaccinazioni insieme alle recenti notizie positive sui trattamenti COVID-19 da Merck”.
Inflazione sì, stagflazione no. La view di La Financière de l’Echiquier
Il rischio stagflazione è indicato da molti come motivo scatenante del recente ribasso dei mercati azionari dopo sette mesi consecutivi di rialzo. Enguerrand Artaz, gestore di La Financière de l’Echiquier, la pensa diversamente e ricorda brevemente la definizione di stagflazione: è un fenomeno autoalimentato caratterizzato da un’elevata inflazione, una prolungata stagnazione dell’attività economica e una forte disoccupazione, che non accenna a diminuire. Il concetto è diventato popolare negli anni ’70, dopo il primo shock petrolifero del 1973. All’epoca, l’inflazione molto elevata, che arrivò nel 1974 a toccare un massimo del 12,3% negli Stati Uniti, era dovuta a uno shock negativo dell’offerta, riferito in particolare alle materie prime energetiche, il petrolio soprattutto. Inoltre, la domanda si stava esaurendo nei Paesi sviluppati alla fine dei 30 anni di boom postbellico. Oggi, invece, la situazione è radicalmente diversa. La domanda globale è molto forte, soprattutto nei Paesi sviluppati ed è proprio questo shock positivo della domanda, in un contesto di offerta temporaneamente limitata a causa dei postumi della crisi del Covid, che sta provocando l’inflazione. È del resto difficile parlare di “stagnazione” dell’attività economica con una crescita globale che dovrebbe raggiungere il 4,5% entro il 2022 e vicina al 6% quest’anno.
La parte “stag”, nel termine “stagflazione”, è quindi usata impropriamente nel contesto attuale anche se non significa che non ci siano motivi di preoccupazione per l’attività economica. Abbiamo verosimilmente raggiunto il picco della ripresa. In Cina prima, e nei Paesi sviluppati poi, il persistere dei colli di bottiglia nelle catene di produzione globali potrebbe alla fine condizionare la domanda. Infine, ci sono aree di fragilità, come il settore immobiliare cinese, evidenziate dalle vicissitudini di Evergrande. Tuttavia, sono per la maggior parte timori di un rallentamento nel ritmo di espansione, non anticipazioni di un ristagno della crescita.
La seconda parte della parola, invece, riguarda l’inflazione e meriterebbe maggiore attenzione. Siamo certamente ben lontani dai livelli raggiunti negli anni ’70 e ’80 e le cause sono molto diverse, ma la questione è ancora rilevante, soprattutto negli Stati Uniti dove i prezzi di beni e servizi hanno contribuito all’impennata dell’inflazione in primavera. Tra l’altro, osserviamo un’inversione di tendenza per i veicoli di seconda mano cui subentrano ora altri beni e o servizi, come i mobili e i veicoli nuovi, direttamente impattati dalle carenze che colpiscono le linee di produzione globale. Inoltre, continua la forte accelerazione dei prezzi di produzione, fenomeno accentuato dalla recente impennata dei prezzi dell’energia, in particolare del gas naturale e del carbone. I prezzi degli immobili, saliti del 20% quasi nell’ultimo anno negli Stati Uniti, andranno presto a impattare il paniere di calcolo dell’inflazione.
Infine, asserisce l’esperto, l’aumento dei salari di fronte alla carenza di manodopera potrebbe innescare un loop salario-prezzo che manterrà l’inflazione su livelli relativamente elevati. Nell’ultimo decennio, gli aumenti di produttività hanno certamente limitato, e non poco, la trasmissione degli aumenti salariali all’inflazione. Tuttavia, le tensioni stanno aumentando negli Stati Uniti. Nell’ultimo rapporto sull’occupazione, molti settori hanno visto i salari aumentare dello 0,5%, o più, nel corso del mese.
“Mentre la stagflazione è ormai frutto dell’immaginazione, l’inflazione è una realtà”, conclude Enguerrand Artaz.