Fed: rialzo tassi record dal 1994. E non finirà qui. Powell & Co si piegano al volere dei mercati
E così, quel rialzo dei tassi di 75 punti base che, fino alla fine della settimana scorsa neanche era stato paventato dai mercati, è arrivato: la Fed di Jerome Powell ha alzato i tassi di riferimento Usa di 75 punti base, al nuovo range compreso tra l’1,5% e l’1,75%, e al valore più alto dal periodo precedente l’esplosione della pandemia Covid-19.
La stretta è stata la più alta dal 1994. Powell ha seguito così il diktat dei mercati che, a seguito del dato relativo all’inflazione Usa misurato dall”indice dei prezzi al consumo, hanno iniziato a sfornare scommesse sempre più hawkish.
Tra questi, anche gli economisti di Goldman Sachs.
D’altronde, quel dato ha dimostrato come l’inflazione Usa non abbia affatto toccato il picco.
La Fed ha così è andata così avanti ieri nel suo piano #WhateverItTakes contro l’inflazione, rispettando quanto prezzato dai mercati. Forse un po’ troppo? Prima dell’annuncio era arrivata la nota avvertimento di Paul Donovan, capo economista di UBS Wealth Management:
“I mercati hanno deciso che ora c’è bisogno di una stretta di 75 punti base. Soddisfare queste aspettative provocherà un aumento della volatilità futura, facendo dell’indice dei prezzi al consumo il principale focus su cui si concentranno i mercati. Un eventuale rialzo di 75 punti base nella giornata di oggi (ieri per chi legge), significa che i futuri tentativi della Fed di dare segnali sulla direzione della sua politica monetaria si scontreranno con la frase, sui mercati, ‘Ma no, non dicono sul serio, ricordate cosa avvenne nel giugno del 2022 (ieri)’“.
Paul Donovan ha intitolato il suo commento “Don’t feed the trolls”, precisando nella sua nota che una stretta di 75 punti base “rappresenterebbe un errore di politica monetaria, in quanto andrebbe a violare la prima regola dei social media: per l’appunto, ‘Don’t feed the trolls'” il noto meme rivolto ai cosiddetti troll, utenti di solito anonimi che tendono a pubblicare sui social messaggi provocatori oppure che nulla hanno a che fare con il tema oggetto di discussione, praticamente elementi di disturbo.
In realtà, dopo una reazione nervosa, Wall Street ha accolto positivamente la decisione della Fed: alla chiusura delle contrattazioni a Wall Street, il Dow Jones Industrial Average è balzato di 303,70 punti, o +1%, a 30.668,53; lo S&P 500 è salito dell’1,46% a 3.789,99, mentre il Nasdaq Composite ha guadagnato il 2,5% a 11.099,15.
La reazione positiva di Wall Street si spiega con la fiducia, da parte dei mercati, nella capacità e determinazione della Fed di far scendere l’inflazione degli Stati Uniti.
Nel comunicato con cui ha annunciato il maxi rialzo dei tassi di 75 punti base, la Fed ha detto di essere impegnata a far scendere l’inflazione – al momento all’8,6%, misurata dall’indice dei prezzi al consumo – al 2%.
Powell & Co hanno ribadito anche l’intenzione di continuare a ridurre gli asset presenti nel bilancio della banca centrale, attraverso il Quantitative Tightening. Occhio alla reazione dei tassi sui Treasuries, con i rendimenti dei titoli di stato a 2 e 10 anni che sono letteralmente crollati, scommettendo sul dietrofronti delle pressioni inflazionistiche.
“Chiaramente – ha tenuto a precisare Jerome Powell nella conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi – il rialzo di 75 punti base di oggi è uno insolitamente sostenuto, e non mi aspetto che strette nel genere diventino comuni”. Powell ha tuttavia detto anche di prevedere, per il prossimo meeting del Fomc – il braccio di politica monetaria della Fed – di luglio un nuovo rialzo di 50 o, ancora, 75 punti base. Il timoniere della Federal Reserve ha precisato che le decisioni verranno prese “di meeting in meeting” e che la Fed “continuerà a comunicare le sue intenzioni nel modo più chiaro possibile”.
Attenzione al dot plot: dal documento che elenca le previsioni sui tassi da parte degli esponenti del Fomc, è emerso che, in media, la Fed prevede un livello dei tassi di interesse al 3,4% per la fine del 2022, in rialzo di 1,5 punti percentuasli rispetto alle stime di marzo.
La Commissione stima inoltre ulteriori strette fino al 3,8% nel 2023: una revisione al rialzo di 1 punto percentuale rispetto alle attese precedenti.
La Fed ha rivisto contestualmente al ribasso le proprie proiezioni per il Pil Usa: ora anticipa una espansione del prodotto interno lordo di appena l’1,7%, per il 2022, rispetto al +2,8% previsto a marzo. Le stime sull’inflazione misurata dall’indice PCE sono state riviste invece al rialzo dal +4,3% al +5,2% per quest’anno, mentre l’inflazione core è attesa in crescita del 4,3%, in rialzo di appena 0,2 punti percentuali rispetto all’outlook precedente. Per il 2023, l’inflazione è attesa in sensibile ribasso: al 2,6% per quella headline e al 2,7% per quella core.
La mossa della Fed di Jerome Powell è stata commentata dall’Ufficio Studi di Intesa SanPaolo con la nota: “Il re è nudo”:
“La riunione del FOMC del 14-15 giugno si è conclusa con il rialzo di 75 pb che il mercato ha ‘imposto’ alla Fed dopo la riaccelerazione del CPI di maggio e delle aspettative di inflazione di giugno. Il voto non è stato unanime, con George (Kansas City Fed, sempre all’estremo dei falchi) che avrebbe voluto un rialzo da 50 pb, probabilmente per mantenere coerenza con la guidance data fino a una settimana fa.”
Nella nota di Intesa SanPaolo si legge che “dopo tre trimestri di negazionismo la Fed scrive nero su bianco che 1) l’inflazione resterà elevata nel 2022; 2) la domanda deve rallentare significativamente per generare il rientro dei prezzi; 3) il tasso di disoccupazione deve salire; e che, per ottenere questi risultati, 3) i tassi devono entrare in territorio restrittivo già quest’anno“.
“La previsione per il CPI di giugno oggi è di 1% m/m per l’indice headline e 0,5% m/m per il core (fonte: inflation nowcasting Cleveland Fed) e rende probabile un altro rialzo di 75 pb a luglio. In caso di debolezza di altre variabili, il Comitato potrebbe optare per 50 pb, ma sarà difficile, anche perché Powell ha citato diverse volte la necessità di vedere una domanda di lavoro più contenuta (cioè un ampio calo, per esempio, delle posizioni vacanti). Successivamente una ‘sequenza’ di variazioni dei prezzi stabili e/o in rallentamento ci fa prevedere, anche ottimisticamente, che siano probabili almeno altri due (o tre?) rialzi da 50 pb seguiti, nell’ipotesi più benigna, da rialzi da 25 pb da dicembre in poi”
“Questo sentiero -precisano da Intesa – lascerebbe i fed funds fra 3,5% e 3,75% a fine 2022 (con rischi per 3,75%-4%), e potrebbe portare a un punto di arrivo fra 4% e 4,5% a metà 2023″.
Gli economisti concludono affermando di concordare con la Fed “su due punti: 1) il sentiero dell’inflazione dipende da fattori al di fuori del controllo della banca centrale (offerta di lavoro, eccesso di domanda di abitazioni, prezzi delle materie prime), con rischi verso l’alto sui tassi; e 2) il ciclo dei tassi probabilmente svolterà nel 2024, con una sequenza di tagli”.