Fed sempre più aggressiva con super inflazione: le scommesse sui tassi salgono, 75 o 100 punti base?
Ieri i timori inflazionistici hanno scosso i mercati, spingendo l’S&P500 nel cosiddetto ‘bear market‘ e facendo scattare una corsa verso la cosiddetta flight to quality (quindi la preferenza degli investitori verso asset meno rischiosi). Il tutto mentre l’attesa per le decisioni della Federal Reserve (Fed) domina sui mercati. Domani, al termine della due giorni di incontri del Fomc, il braccio operativo della banca centrale Usa, arriverà il verdetto sui tassi. Il dilemma è su quanto la Fed sarà aggressiva. Alcuni operatori ipotizzano che probabilmente verrà preso in considerazione un aumento dei tassi più ampio di quanto molti si aspettassero, nel tentativo di controllare l’inflazione statunitense più calda degli ultimi 40 anni.
L’azzardo di 100 punti base?
Fino a una settimana fa, quindi prima del dato sui prezzi al consumo che è salito oltre le attese a maggio, i mercati prezzavano un rialzo di ‘soli 50 punti base’. Adesso la situazione ha preso una piega diversa. Secondo quanto anticipato dal WSJ il Fomc “probabilmente considererà un aumento di 75 punti base” alla riunione di domani, rispetto alla guidance attesa fino alla scorsa settimana di 50 punti base. Come segnaliamo da tempo, indicano da Intesa Sanpaolo, l’inflazione è radicata e non può rallentare in pochi mesi: la strategia della Fed è superata ora non solo dai dati ma anche dalle preoccupazioni del mercato
Le voci vanno tutte nella direzione di un aumento superiore a 50 pb. Da Mps Capital Services segnalano che gli OIS sono arrivati di fatto a prezzare un rialzo da 75pb nella riunione Fed di domani, possibilità paventata anche da alcuni economisti di importanti banche d’investimento. Secondo il sondaggio di BofA, il rischio più grande per i gestori globali rimane l’atteggiamento hawkish delle Banche centrali, in un contesto in cui l’ottimismo sulla crescita globale è crollato al minimo storico.
Ma salgono anche le possibilità che la Fed possa spingersi oltre. Secondo quanto riportato da Bloomberg, la stretta potrebbe essere ancora più forte e pari a 100 punti base. Anche per gli esperti di ING un rialzo dei tassi di 75 punti base già domani è uno scenario sempre più probabile. “In questa fase, non possiamo escludere la probabilità implicita che anche un movimento di 100 punti base inizi a salire”, rimarcano però gli economisti della banca olandese spiegando che nel contesto attuale il dollaro è stato uno dei vincitori.
“La forza del dollaro continua ad essere alimentata da un repricing più alto nelle aspettative sui tassi della Fed. I mercati si sono affrettati a valutare rapidamente un rialzo dei tassi di 75 pb da parte della Fed domani, attribuendo ora una probabilità implicita di quasi il 100% a questo scenario”, sottolineano da ING che riconoscono che 75 pb sembrano sempre più probabili e, in questa fase, non è da escludere che gli investitori continueranno a spingere le loro aspettative sempre più verso l’alto e inizieranno a considerare un aumento di 100 pb. Di contro, si potrebbe aprire una strada alla correzione del dollaro se la Fed si attesse al suo piano di aumentare di 50 punti base.
Bear Market solo all’inizio?
Intanto sui mercati, come detto, si guarda alle performance dell’S&P 500 che ieri ha chiuso in bear market, con un calo di oltre il 20% da inizio anno. “La storia ci dice che la strada al ribasso potrebbe essere ancora lunga. I rischi di recessione sono in aumento e potrebbero far scendere il mercato di un altro 20%. Infatti, in media, la fase orso dell’S&P 500, cosa molto rara, dura 19 mesi e comporta un calo dei prezzi del 38%. Questo periodo è durato solo cinque mesi, con una correzione complessiva del 21%”, afferma Ben Laidler, global markets strategist di eToro, secondo cui una recessione non è inevitabile.
L’esperto sottolinea che finora, la crescita economica si è rivelata resiliente. I consumatori hanno grandi risparmi e le aziende sono prossime a margini di profitto record. Il crollo del mercato è stato determinato esclusivamente dalle valutazioni, che hanno portato il rapporto prezzo/utile a quasi 16x, al di sotto delle medie decennali. “L’ingrediente mancante di una recessione è l’indebolimento degli utili, che in questi periodi tradizionalmente scendono di oltre il 20%, ma che quest’anno sono aumentati. Le aziende non hanno ricevuto il promemoria della recessione, ma non sono immuni dalle nubi di tempesta che si stanno addensando. Questo è il rischio principale del mercato“, rimarca Laidler che però invita anche a guardare alla storia per capire l’equilibrio di lungo termine tra rischio e rendimento per gli investitori, con un mercato toro medio negli Stati Uniti (+20%) che sfiora il 180% e dura 60 mesi, quattro volte più a lungo di un tipico mercato orso (vedi grafico). “I mercati toro nascono anche dai mercati orso – spiega -. In genere, questi eliminano gli eccessi macroeconomici e di valutazione. Questo è ciò che sta accadendo ora, con le valutazioni già in forte calo, le condizioni finanziarie che si stanno rapidamente restringendo e la Fed e le altre banche centrali che stanno aumentando i tassi di interesse per ridurre l’inflazione ostinatamente alta.”