Hong Kong, Cina ignora minacce Usa e approva nuova legge sicurezza nazionale. A rischio quarto centro finanziario del mondo
E’ fatta. E ora bisogna vedere quale sarà la risposta americana. Vista la minaccia arrivata nelle ultime ore da Mike Pompeo, segretario di Stato americano, le tensioni tra Stati Uniti e Cina non faranno altro che infiammarsi ulteriormente.
E’ di poco fa la notizia della decisione del Parlamento di Pechino di approvare la nuova proposta di legge sulla sicurezza nazionale, che inasprisce i controlli cinesi sulla città stato.
Snobbati, praticamente, tutti gli avvertimenti arrivati da Washington. La Cina ha deciso di andare avanti con il suo piano, a quanto pare indifferente all’alert lanciato proprio ieri dal segretario di Stato americano Mike Pompeo, che ha annunciato di aver indicato al Congresso Usa che Hong Kong “non è più autonoma dalla Cina”: una dichiarazione che prelude al peggio, visto che la certificazione di Pompeo al Congresso significa che Hong Kong non merita più il trattamento speciale che la legge Usa le ha fino a oggi accordato. La certificazione non basta a rendere effettivo l’annullamento dello status speciale, in quanto la palla passa ora al Congresso.
“Nessuna persona ragionevole potrebbe dire, oggi, che Hong Kong mantiene un elevato grado di autonomia dalla Cina. E’ chiaro che la Cina sta plasmando Hong Kong”, ha detto il segretario di stato americano. Plasmandola a sua immagine e somiglianza, si potrebbe aggiungere. Con queste parole, Pompeo ha praticamente sganciato la bomba finanziaria dell’amministrazione Trump direttamente sulla testa della Cina (o, si chiede qualcuno, sulla testa di Hong Kong)?
Ora, visto che è di poche ore fa la notizia che Pechino ha approvato la proposta sulla sicurezza nazionale, gli Stati Uniti faranno seguito alla minaccia di Pompeo, spogliando la città del trattamento riservato di cui ha goduto fino a oggi dal 1992, esattamente dal 1992 U.S.-Hong Kong Policy Act?
Hong Kong deve molte delle sue fortune proprio a questo patto con gli Usa, che venne emanato in vista del trasferimento della sovranità sull’isola dal Regno Unito alla Cina, nel 1997. Conosciuto anche come Hong Kong Relations Act, l’atto -emanato dal Congresso degli Stati Uniti nel 1992- ha consentito in tutti questi anni agli Stati Uniti di continuare a trattare Hong Kong in via separata rispetto alla Cina continentale, in merito a questioni relative al commercio, all’economia e alla finanza.
All’epoca, Pechino si lamentò di come l’intesa fosse una delle prove dell’interferenza degli Stati Uniti nelle sue questioni di politica interna. In realtà, ancora prima, era stata la stessa Repubblica Popolare cinese a lanciare il principio costituzionale “one country, two systems” da applicare sia a Hong Kong che a Macau nel momento in cui entrambe fossero diventate regioni amministrative speciali della Cina, rispettivamente nel 1997 e nel 1999.
Il principio era stato formulato già agli inizi degli anni ’80 dal terzo leader della Repubblica popolare cinese, Deng Xiaoping, durante i negoziati con il Regno Unito per il trasferimento della sovranità su Hong Kong.
Xiaoping suggerì che ci sarebbe stata una sola Cina, ma che sia Hong Kong che Macau avrebbero potuto preservare i loro sistemi amministrativi ed economici. Il principio avrebbe permesso insomma alle regioni di continuare ad avere un proprio sistema governativo, legale, economico e finanziario, raggiungendo anche accordi commerciali con paesi stranieri.
Tuttavia Pechino ha cercato e trovato diverse strade, in tutti questi anni, per aggirare quanto statuito dal principio, e le proteste continue dei cittadini di Hong Kong lo dimostrano. L’ultimo schiaffo è arrivato pochi giorni fa, lo scorso 22 maggio, con una proposta su una nuova legge sulla sicurezza nazionale che è stata presentata al Parlamento, in occasione dell’apertura dei lavori dell’Assemblea nazionale del Popolo, dal premier cinese Li Keqiang.
Tale proposta ha chiesto praticamente un maggiore controllo da parte di Pechino su Hong Kong, a dispetto delle proteste anti-governative che si sono svolte ripetutamente nella città stato contro il potere cinese.
“Alla luce delle nuove circostanze e delle nuove necessità, l’Assemblea nazionale del popolo esercita il potere di lanciare e migliorare a livello statale un quadro legale e un meccanismo di rispetto delle regole, al fine di tutelare la sicurezza nazionale di Hong Kong e per confermare e migliorare il quadro istituzionale fondato su “un paese, due sistemi” (principio adottato anche nelle relazioni con Macao e Taiwan)”, ha spiegato Zhang Yesui, portavoce del Congresso nazionale del partito, nel corso di una conferenza stampa – Si tratta di una cosa davvero necessaria”.
Oggi le nuove disposizioni – che vietano la secessione, le interferenze straniere, il terrorismo e tutte le attività di sedizione volte a rovesciare il governo centrale – sono diventate legge. In vista dell’approvazione della proposta di legge, gli Stati Uniti stavano in realtà già preparando nuove strette contro la Cina.
Bloomberg ha riportato per esempio che il dipartimento del Tesoro Usa potrebbe imporre controlli su alcune transazioni e congelare asset di funzionari e imprenditori cinesi. Nessuna decisione sarebbe stata però ancora presa. Il dipartimento del Commercio Usa sarebbe prossimo, inoltre, a includere altre 33 società cinesi nella sua black list, la lista nera, in quanto aziende responsabili a suo avviso di violazione di diritti civili, legate ad attività di spionaggio, di abusi e di lavoro forzati, di repressione e di rifornimenti di armi utilizzate dall’esercito cinese.
La frase di Pompeo è stata sicuramente la ciliegina sulla torta o, per dirla in modi decisamente più chiari e bellici, l’anticipazione di quella che molti analisti ritengono “l’opzione nucleare”: ovvero la decisione finale degli Usa di togliere a Hong Kong quello status speciale riconosciuto con il patto del 1992.
Le ripercussioni sarebbero, per la città stato, a dir poco drammatiche. Già ‘solo’ l’effetto della nuova legge sulla sicurezza nazionale è stato descritto da incubo. Andrew Collier, managing director di Orient Capital Research, ha detto per esempio di paventare una “erosione graduale” dello status finanziario dell’isola nei prossimi cinque anni, con tanto di fuga di investitori e di multinazionali, che hanno trovato casa proprio qui.
“Sono molto preoccupato – ha detto Collier, intervenendo alla trasmissione “Street Signs” della Cnbc – Sono qui da 12 anni, e probabilmente ci rimarrò per altri dieci. Questa situazione mi sta innervosendo molto. Credo che Hong Kong sia un posto molto rischioso dove fare affari. Chiaramente, se le autorità cinesi arriveranno qui lanciando metodi draconiani per fermare le proteste, la percezione globale su Hong Kong diventerà molto negativa, e gli investitori non si sentiranno a loro agio”.
I fondi di investimento più grandi, a quel punto, “dovranno far fronte alle pressioni dei fondi pensione“, che chiederanno loro perché continuino a investire e a fare affari a Hong Kong, nonostante “l’erosione della certezza del diritto”. Allo stesso tempo, è anche vero secondo Collier che la Cina farà di tutto per tutelare i suoi interessi a Hong Kong.
Figuriamoci cosa accadrebbe se ora gli Stati Uniti decidessero di spogliare Hong Kong dello status speciale di cui ha beneficiato dal 1992. Quella di Pompeo è stata finora solo una dichiarazione. La palla spetta al Congresso e al presidente Donald Trump: ma certo la possibilità che la città perda i trattamenti speciali di cui ha goduto finora sta già mettendo in allerta gli investitori.
Bonnie Glaser, analista del Center for Strategic and International Studies di Washington, sottolinea che, se gli Stati Uniti sancissero ufficialmente che Hong Kong non è più autonoma, dichiarando il decadimento del patto del 1992, “ci sarebbero diverse implicazioni, tra cui l’estensione di tutti i dazi Usa imposti sulla Cina a Hong Kong”. Ancora, “i cittadini di Hong Kong incontrerebbero maggiori ostacoli a viaggiare negli Stati Uniti e molti stranieri potrebbero decidere di lasciare l’isola”.
C’è da dire che anche gli Stati Uniti perderebbero molto nel caso in cui decidessero di ritirare lo status sociale riconosciuto a Hong Kong.
Quasi un terzo delle banche della città a cui è stata accordata, sebbene in modo restrittivo, la licenza, è controllato da interessi Usa. Gli Usa sono anche il secondo principale partner commerciale di HK, dopo la Cina. Sono 735 in tutto le società americane che hanno il loro quartiere generale e uffici a Hong Kong.
Pesante l’impatto sulla borsa di Hong Kong.
Qualche giorno fa, in un’intervista a Finews.asia Robert Grieves, responsabiile della Camera di Commercio Usa a Hong Kong, ha fatto notare che l’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale minerebbe la governance esercitata sullo Hong Kong Stock Exchange dall’autorità di controllo locale Securities and Futures Commission.
E cosa accadrebbe allo stesso Hong Kong Stock Exchange? La Borsa, che è la quarta più grande al mondo, sta già scontando le prospettive più fosche. Basti pensare al crollo seguìto all’annuncio della nuova legge sulla sicurezza avvenuto una settimana fa circa, che ha portato l’indice di riferimento Hang Seng a soffrire la perdita più forte in cinque anni.
Così ha detto recentemente il consulente alla Casa Bianca Kevin Hassett: “Posso affermare che se la Cina prenderà il controllo di Hong Kong, le conseguenze saranno molto, molto negative per l’economia cinese e per quella di Hong Kong. Hong Kong è da tempo il centro finanziario dell’Asia. Non credo che (con le nuove strette della Cina) continuerà a esserlo, e di conseguenza i costi che la Cina sosterrà saranno molto, molto alti”.
2449 sono le società quotate sull’Hong Kong Stock Exchange al 31 dicembre del 2019, per una capitalizzazione complessiva di $38,2 trilioni.
Robert Grieves ha ricordato che l’Hong Kong Stock Exchange è una porta che permette agli investitori internazionali di accedere al mercato cinese, e agli investitori cinesi di accedere ai mercati internazionali. Di conseguenza, “se la fiducia in questa porta venisse a mancare, la fiducia in Hong Kong come centro finanziario primario inizierebbe a scendere”.