Ipo cinesi a Wall Street, giro di vite da Pechino continua. E ora c’è il rischio di un delisting di massa da New York
In un momento in cui Pechino si sta mostrando sempre più determinata nel giro di vite contro le aziende della corporate China, c’è chi paventa ora un delisting di massa da parte di quei titani cinesi quotati a Wall Street, che portano i nomi di Alibaba, Tencent, Baidu, Meituan, JD.com. D’altronde, la battaglia lanciata contro i grandi nomi hi-tech continua e gli effetti sulla borsa di Hong Kong e sugli ETF che replicano le azioni coinvolte sono sotto gli occhi di tutti.
Soltanto in un mese, il titolo Alibaba ha ceduto il 15% e l’ETF Invesco Golden Dragon China ETF (PGJ) – che monitora i titoli delle società cinesi quotate negli Stati Uniti, ADR di aziende che hanno i loro quartieri generali in Cina – ha perso in questo trimestre il 26%.
E che dire di Tencent, che ha incassato la definizione di titolo peggiore del mondo? O delle persecuzioni che hanno ossessionato Didi, l’Uber cinese?
Le ultime indiscrezioni sull’intenzione delle autorità di Pechino di continuare a tarpare le ali ai gruppi con velleità di espansione sono arrivate venerdì scorso con un articolo del Wall Street Journal, che ha riferito che Pechino starebbe valutando l’opzione di varare nuove regole per imporre limitazioni alle società cinesi che vogliano lanciare un’Ipo a Wall Street.
Le autorità starebbero prendendo di mira, in particolare, le aziende tecnologiche che detengono i dati degli utenti, mentre si salverebbero le società il cui business è meno dipendente dai dati, come le farmaceutiche. All’inizio della settimana scorsa, l’autorità cinese preposta alla sicurezza cibernetica aveva illustrato già due impianti normativi che le società che desiderino quotarsi a Wall Street dovrebbero rispettare: il primo, rappresentato dalle leggi e normative nazionali, il secondo, comprensivo di tutte quelle norme emanate per garantire la sicurezza della rete nazionale, “l’infrastruttura cruciale che supporta l’informazione” e i dati personali, ovvero, sostanzialmente, la privacy.
Le nuove regole di cui parla il WSJ non sono state ancora finalizzate e potrebbero diventare esecutive nel quarto trimestre.
Ma non è certo solo la Cina a temere lo sbarco alla borsa Usa delle sue aziende. A guardare con sospetto alle Ipo è anche la Sec, che ha diramato nuovi parametri di trasparenza dopo che il mese scorso il presidente della Sec Gary Gensler aveva invocato una “pausa” nelle Ipo delle società cinesi a Wall Street.
La trasparenza richiesta è, in particolare, sull’utilizzo, da parte delle aziende made in China, di quei veicoli offshore conosciuti come variable interest entities (VIEs).
Sempre Gensler, in un’intervista rilasciata a Bloomberg, ha detto che le stesse società cinesi già quotate in Usa dovrebbero informare meglio gli investitori sui rischi legati alla politica e alle nuove norme in canrtiere in Cina.
Non per niente diverse società cinesi quotate alla borsa Usa come Alibaba e Baidu hanno deciso di sbarcare anche a Hong Kong proprio per calmierare i rischi presenti nel mercato degli States.
Allarme delisting di massa da Wall Street: il precedente c’è
La situazione è tale che un articolo del Guardian ha lanciato l’allarme delisting di massa.
“Gli investitori temono una potenziale ondata di delisting di queste compagnie cinesi dai mercati Usa, in caso di prosecuzione del giro di vite globale”, si legge nell’articolo, che riporta le opinioni degli esperti.
Gli investitori sono, di fatto, sempre più pessimisti: basti pensare al sell off che ha colpito le azioni cinesi del Nasdaq Golden Dragon Index – che monitora le società cinesi quotate a Wall Street -, che si è tradotto in un tonfo dell’indice di quasi -50% dal mese di febbraio.
Il delisting di massa “non è solo possibile, è probabile – ha detto Jay Ritter, professore presso il Warrington College of Business dell’Università della Florida, aggiungendo che la fuga potrebbero verificarsi in massa “nell’arco di qualche mese”, con conseguenze che andrebbero a colpire il trading e il sentiment di tutti i mercati azionari globali.
“In generale, questi effetti domino non sono mai positivi perchè producono conseguenze involontarie”, ha concordato John Byrne, analista di GlobalData. E non sarebbe neanche il primo delisting di massa da parte di società cinesi quotate a New York.
Dieci anni fa circa, più di 100 società cinesi furono rimosse dai listini azionari Usa dopo che alcuni scandali contabili resero necessari ulteriori controlli in Usa, provocando il calo dei titoli.
“Quando i prezzi scesero, alcune di quelle società (cinesi) decisero che la convenienza a rimanere quotate nel Nord America non era più alta come lo era stata in precedenza, e optarono di conseguenza per il delisting invece di quotarsi di nuovo in Cina. Dunque, i precedenti ci sono”, ha spiegato Ritter, conociuto anche come “Mister Ipo”.
In gioco ci sarebbero ben $2,1 trilioni, come emerge dall’agenzia governativa Usa United States-China Economic and Security Review Commission, che ha calcolato in 248 le società cinesi, di un valore per l’appunto superiore ai $2 trilioni, quotate alla borsa Usa nel mese di maggio. Sebbene la cifra impallidisca rispetto alla capitalizzazione dell’intero mercato azionario Usa, pari a $46 trilioni, l’impatto potenziale potrebbe essere enorme.