La beffa dello shock fiscale di Trump: crescita PIL Usa non riesce a centrare neanche il target del 3%
Nel secondo trimestre del 2019, la crescita dell’economia americana ha rallentato il passo. Non solo. Nell’intero 2018, il tasso di espansione ha mancato il target +3% che era stato fissato dall’amministrazione Trump: fattore che potrebbe rinfocolare le critiche sull’effetto dello shock fiscale da $1,5 trilioni stile manna dal cielo promosso dal presidente, che il Congresso americano ha approvato alla fine del 2017.
Uno shock fiscale fatto di tagli alle tasse applicate su imprese e individui che, a dispetto delle elevate aspettative, non solo non ha prodotto alcun risultato altrettanto spettacolare, ma non è riuscito neanche a garantire un’espansione un linea con le stime. E un monito, forse, per chi, come il vicepremier leghista Matteo Salvini, continua a chiedere che uno shock fiscale venga lanciato anche in Italia.
I dati sul Pil del 2018 e sul Pil del secondo trimestre del 2019 sono stati diffusi oggi dal dipartimento del Commercio degli Stati Uniti.
Le cose non sono andate molto bene neanche nel secondo trimestre dell’anno in corso: il Pil Usa ha sofferto infatti una netta decelerazione rispetto al primo trimestre, quando era salito al ritmo del 3,1%.
Nel periodo compreso tra l’inizio di aprile e la fine di giugno, il trend è stato di una crescita del 2,1%: si tratta del rialzo più debole dal primo trimestre del 2017, ovvero da quando Donald Trump è salito alla Casa Bianca, dopo la vittoria delle elezioni presidenziali del 2016. Gli economisti interpellati da Dow Jones avevano previsto una espansione inferiore, pari a +2%.
E’ molto probabile ora che Trump torni a scagliarsi contro la Federal Reserve di Jerome Powell, da tempo finita nel suo mirino, in quanto ‘colpevole’ di aver alzato i tassi di interesse Usa quando, secondo il presidente, avrebbe dovuto abbassarli.
Nella realtà dei fatti, l’economia americana ha fatto invece i conti con gli effetti negativi della guerra commerciale combattuta a colpi di dazi, che proprio il presidente ha lanciato, inaugurando una nuova era di protezionismo.
Tornando alla crescita dell’intero 2018, il dipartimento del Commercio ha comunicato che il Pil dell’anno scorso è salito del 2,9%, confermando così le stime che erano state snocciolate nel mese di marzo. Per l’anno scorso, la Casa Bianca aveva stabilito un obiettivo del 3%.
I downgrade non sono mancati e hanno interessato soprattutto il secondo e il terzo trimestre dell’anno. L’economia Usa ha inoltre rallentato il passo nel quarto trimestre, più di quanto emerso dai dati di marzo. Un upgrade c’è comunque stato e ha interessato il primo trimestre.
Per la precisione, nel primo trimestre del 2018, il Pil è salito del 2,5%, di più rispetto al +2,2% inizialmente reso noto; nel secondo trimestre, la crescita è stata rivista pesantemente al ribasso dal +4,2% al +3,5%; nel terzo trimestre, ha rallentato al +2,9%, rispetto al +3,4% comunicato in precedenza; e nel quarto trimestre ha fatto appena +1,1%, rispetto all’espansione del 2,2% inizialmente riportata.
La beffa è tra l’altro doppia: i downgrade sono scattati soprattutto a causa della crescita inferiore alle attese degli investimenti delle aziende americane, fattore che conferma che la corporate America non ha approfittato della minore pressione fiscale garantita dal taglio alle tasse per crescere.
Piuttosto, alcuni colossi del calibro di Apple, hanno utilizzato quei tesoretti emersi con la riforma fiscale per lanciare operazioni di buyback azionari: per ricomprare insomma i loro titoli.
Il 2018 ha comunque confermato un’accelerazione della crescita, visto che il trend è migliorato rispetto al +2,4% segnato nel 2017. Il tasso di espansione è stato inoltre uguale a quello del 2015, riportato ai tempi dell’amministrazione di Barack Obama. Attenzione alla componente delle spese per consumi, che ha testato il picco nel secondo trimestre, per poi rallentare in modo sostenuto negli ultimi tre mesi dell’anno.
Cosa emerge invece dal Pil del secondo trimestre di quest’anno? A sostenere la crescita del 2,1% sono state le spese per consumi e federali: le prime sono balzate del 4,3%, riportando il tasso di crescita più forte dal quarto trimestre del 2017; le spese federali sono salite del 5%, al ritmo più solido dal secondo trimestre del 2009, che ha certificato l’uscita dell’economia Usa dalla Grande Recessione.
La nota dolente è arrivata anche in questo caso dagli investimenti delle aziende del settore privato, che sono crollati del 5,5%, al ritmo più sostenuto dal quarto trimestre del 2015. La flessione è stata tale da sottrarre un punto percentuale pieno al dato complessivo relativo al Pil. Anche in questo caso, è evidente il timore della corporate America per l’escalation della guerra commerciale, in particolare tra Stati Uniti e Cina. Escalation che si è verificata, tra l’altro, proprio nel corso del secondo trimestre, mesi a cui il dato sul Pil si riferisce. E non sarà un caso.