La Fed ha ancora paura del COVID: nessun rialzo tassi fino al 2022 e Pil Usa -6,5% quest’anno
“Non stiamo pensando di alzare i tassi. Non stiamo neanche pensando a pensare di alzare i tassi”. Così Jerome Powell, numero uno della Federal Reserve, dopo la decisione del Fomc, il braccio di politica monetaria della banca centrale, di lasciare i tassi sui fed funds al range compreso tra lo zero e lo 0,25%.
“Quello a cui stiamo pensando è di dare un sostegno all’economia. E riuscire a farlo richiederà un po’ di tempo”.
Le previsioni del Fomc sull’economia e sui tassi parlano chiaro: i tassi sui fed funds sono visti rimanere nel range attuale fino al 2022; il Pil Usa è atteso in calo del 6,5% nel 2020, in ripresa al tasso +5% nel 2021, in crescita del 3,5% nel 2022 e dell’1,8% nel 2023.
Si prevede inoltre un’impennata del tasso di disoccupazione, nel 2020, al 9,3%, e una discesa progressiva al 6,5%, al 5,5% e al 4,1% nei prossimi anni.
L’inflazione misurata dall’indice PCE è stimata allo 0,8% quest’anno, in ripresa all’1,6% nel 2021, per poi salire ancora all’1,7% e al 2% negli anni successivi, mentre l’inflazione core dovreebbe attestarsi, secondo la Fed, all’1% nel 2020, all’1,5% nel 2021 e all’1,7% nel 2022.
L’intenzione di lasciare i tassi sui fed funds fermi allo zero fino al 2022 è confermata dal dot plot, ovvero dal grafico da cui emergono le previsioni del Fomc sull’andamento futuro dei tassi: i 17 esponenti della Fed sono unanimi nel prevedere tassi attorno allo zero fino al 2021, mentre per il 2022 sono solo due banchieri a stimare un rialzo.
Nessun esponente sembra pensare alla prospettiva dei tassi negativi, uno strumento che, anche da precedenti dichiarazioni di Powell, non sembra entusiasmare la banca centrale.
Dal comunicato del Fomc emerge che “l’esplosione del coronavirus sta provocando sofferenze economiche e umane tremende negli Stati Uniti e nel mondo. Il virus e le misure varate per proteggere la salute pubblica hanno causato forti cali nell’attività economica e un balzo delle perdite dei posti di lavoro. La domanda più debole e i prezzi del petrolio significativamente più bassi stanno frenando l’inflazione dei prezzi al consumo”.
Da segnalare che le misure straordinarie lanciate dalla Fed per sostenere l’economia americana hanno portato il bilancio della banca centrale, il mese scorso, a superare la soglia dei 7 trilioni di dollari per la prima volta in assoluto.
“Crediamo che la Fed rimarrà dovish per tutto il tempo necessario a evitare un mini taper-tantrum“, (ovvero il timore dei mercati che i tassi possano essere alzati.) ha detto Jeffrey Halley, analista di OANDA. L’espressione taper tantrum si riferisce in particolare al balzo dei tassi sui Treasuries Usa, che avvenne nel 2013 a seguito dell’annuncio, da parte della Fed, di un tapering, ovvero di un allentamento, della sua politica di Quantitative easing.
IPOTESI CONTROLLO CURVA RENDIMENTI (YCC)
Oltre all’acquisto degli ETF sui bond, montano le speculazioni sulla possibilità che la Fed inizi a fare shopping anche di ETF azionari.
Un’altra ipotesi è quella del controllo della curva dei rendimenti (Yield Curve Control), ovvero la fissazione di tetti massimi sui tassi – che avverrebbe per la prima volta dal 1940 – per tenere sotto controllo i costi di finanziamento per le imprese e i consumatori: a tal proposito, c’è da dire che il 54% degli economisti intervistati da Bloomberg ritiene che questa tattica sarà sul tavolo a partire da settembre.
Tra l’altro, nel mese di marzo, il presidente della Federal Reserve di New York, John Williams, aveva detto che la Fed stava “pensando molto seriamente” all’opzione del controllo sulla curva dei rendimenti.
Così gli analisti di ING commentano quanto emerso ieri dalla Fed:
“L’outlook (della Fed) sulla politica monetaria rimane molto incerto. Mentre i mercati azionari e altri asset rischiosi sembrano prezzare una ripresa a V, i mercati dei Treasuries e dei futures sui tassi di interesse sono molto più cauti. Crediamo che la cautela sia giustificata e riteniamo che ci siano poche prospettive di una Fed orientata a una politica monetaria restrittiva. Al contrario, intravediamo una maggiore probabilità di nuovi stimoli”.
E questo anche perché si teme una seconda nuova ondata di contagi di coronavirus negli Stati Uniti. Gli ultimi dati, di fatto, non sono affatto confortanti. Il numero di persone contagiate dal COVID-19, negli Usa, ha superato quota 2 milioni, a fronte di un aumento delle vittime a 113.000. I casi di contagi, stando a quanto ha riportato il New York Times, sono saliti in 21 stati americani.
In questo contesto ING scrive che “semplicemente, non sappiamo che strada prenderà il virus. Gli stati che hanno riaperto per prima hanno assistito a un aumento dei casi rispetto a quelli che sono rimasti in lockdown. Le misure di contenimento potrebbero essere reintrodotte, nel caso in cui il numero dovesse aumentare ulteriormente. In più, rimaniamo preoccupati sulla possibilità che il virus riacquisti forza durante la stagione invernale e che le condizioni rendano più facile il contagio. Visto che ci sono poche indicazioni sull’arrivo imminente di un vaccino, è troppo presto rilassarsi sui potenziali costi sanitari ed economici. Ci sono inoltre fattori come il distanziamento sociale, la cautela dei consumatori e le restrizioni sui viaggi che impediranno di tornare alla ‘normalità’ economica precedente il Covid-19. A dispetto del report occupazionale shock diffuso la scorsa settimana (che ha indicato un balzo inatteso di 2,5 milioni di posti di lavoro), dobbiamo ricordare che il numero degli occupati rimane inferiore di 19,5 milioni di unità rispetto al mese di febbraio. Considerando poi la minaccia dei default societari, visto l’aumento dei debiti e il calo del fatturato e degli utili, il potenziale di dazi, le tensioni politiche e sociali che hanno ripercussioni negative sull’economia, è chiaro che ci sono molti ostacoli che l’economia deve fronteggiare”.
Detto questo, “non crediamo che l’ipotesi dei tassi negativi sia realistica, visto l’entusiasmo pari a zero da parte dei funzionari della Fed (non hanno funzionato in Europa o in Giappone e potrebbero davvero nuocere alla disponibilità del credito. E’ possibile invece che ci sia più QE che sia specificamente pensato per stabilire un tetto massimo sui tassi, il cosidetto controllo della curva dei rendimenti (per l’appunto, l’ipotesi YCC Tuttavia, i tassi sui Treasuries, che rimangono ben ancorati, suggeriscono che, al momento, non c’è alcuna urgenza. (La prospettiva) diventerebbe più probabile se l’aumento delle emissioni dei Treasuries provocasse una indigestione nel mercato dei bond, facendo salire i tassi e scatenando condizioni più rigide di accesso ai finanziamenti negli Usa”.