Minaccia boicottaggio funziona: McDonald’s, Coca-Cola, PepsiCo e Starbucks fuori dalla Russia
E alla fine Coca-Cola, McDonald’s, PepsiCo e Starbucks sono state costrette a capitolare di fronte alla pressione dei social e agli appelli vari a boicottare i loro prodotti, annunciando la decisione di lasciare la Russia, in risposta all’invasione dell’Ucraina.
Una decisione tardiva, viene messo in evidenza dai critici, visto che il conflitto è esploso due settimane fa. Ma alla fine hanno avuto la meglio i vari #BoycottCocaCola e #BoycottPepsi, #BoycottMcDonalds, così come ha avuto sicuramente successo l’appello lanciato dall’attore Sean Penn e da altre personalità del mondo dello spettacolo.
McDonald’s ha così annunciato che chiuderà temporaneamente 850 ristoranti in Russia, citando “la sofferenza inutile che sta colpendo l’Ucraina”.
L’AD Chris Kempczinski ha scritto in una lettera indirizzata ai ristoranti in franchising e ai dipendenti che la sospensione riguarderà tutte le operazioni finora attive in Russia. Il colosso dei fast food ha aggiunto che continuerà comunque a pagare i suoi 62.000 dipendenti russi, e che la sua fondazione no profit Ronald McDonald House Charities continuerà a essere attiva nel paese.
Stando a quanto riporta la Cnbc, circa l’84% dei siti di McDonald’s presenti in Russia è di proprietà della società, mentre il resto è in franchising.
La catena di caffetterie Starbucks è andata oltre, annunciando ieri che sospenderà tutte le attività in Russia, inclusa la consegna dei suoi prodotti. Anche il ceo di Starbucks Kevin Johnson ha condannato in una lettera gli attacchi russi in corso in Ucraina.
Tra i due gruppi, McDonald’s è quello che ha una presenza maggiore in Russia e che, di conseguenza, riceve una percentuale più alta dalle vendite nel paese rispetto al fatturato globale.
Ritirata anche da parte di PepsiCo, presente in Russia dai tempi dell’Urss, quando fece anche notizia per il ‘baratto’ dei suoi concentrati di soda in cambio di vodka Stolichnaya e di navi da guerra. Il colosso delle bevande analcoliche, che incassa dalla Russia il 4% del fatturato annuale, non ha optato tuttavia per lo stop totale delle sue attività, comunicando che continuerà a vendere alcuni prodotti essenziali, come beni alimentari e latte per i bambini.
Pepsi sospenderà in particolare le vendite russe delle bevande Pepsi-Cola, e dei prodotti 7UP e Mirinda, interrompendo contestualmente gli investimenti di capitale e tutte le attività promozionali e pubblicitarie nel paese. “In quanto società di beni alimentari e bevande, ora più che mai dobbiamo rimanere fedeli all’aspetto umanitario del nostro business”, ha commentato il ceo di Pepsi Ramon Laguarta, in una lettera inviata ai dipendenti a cui ha avuto accesso la CNBC .
PepsiCo, insieme a McDonald’s, è presente nel paese da decenni, e le sue soda sono ricordate per essere tra quei pochi prodotti occidentali la cui vendita era consentita ai tempi dell’Urss, prima del collasso dell’Unione sovietica.
Il rapporto tra il colosso Pepsi e l’Unione sovietica è sempre stato a dir poco particolare, basato per l’appunto anche sul baratto.
Il 9 aprile del 1990 alcuni quotidiani americani riportarono la notizia di un accordo che la multinazionale aveva siglato con l’Urss, del valore di tre miliardi di dollari. Mosca aveva spesso pagato il concentrato di Pepsi con bottiglie di vodka Stolichnaya. Questa volta, il pagamento era avvenuto con ben 10 navi sovietiche che la multinazionale incassò.
Sospensione delle attività russe da parte di Coca-Cola, che ha fatto l’annuncio anch’essa nella giornata di ieri: “I nostri cuori sono con le persone che stanno facendo fronte alle conseguenze incalcolabili di questi tragici eventi in Ucraina. Continueremo a monitorare e a valutare la situazione, di pari passo con l’evolversi della situazione”.
La Russia rappresenta una delle poche aree del mondo in cui PepsiCo ha una presenza maggiore rispetto alla rivale Coca-Cola.
Coke ha reso noto che le sue attività in Ucraina e Russia hanno contribuito sul suo fatturato netto consolidato e sugli utili operativi del 2021 tra l’1% e il 2% .