Preview tassi Fed: mercati ed economisti anticipano mosse Powell & Co. Con tanto di avvertimenti
Fed Day, ci siamo quasi: domani il Fomc, il braccio di politica monetaria della banca centrale americana, si riunirà, per sfornare poi l’annuncio sui tassi, dopodomani mercoledì 2 novembre: seguirà la conferenza stampa in cui prenderà la parola il timoniere Jerome Powell. E sarà principalmente ciò che Powell dirà a condizionare i mercati, azionari e obbligazionari.
Il quarto rialzo consecutivo dei tassi di 75 punti base è, di fatto, ampiamente scontato: dallo strumento CME FedWatch, emerge che i trader scommettono su una ennesima stretta monetaria di tre quarti di punto percentuale con una probabilità dell’80%. Il rialzo dovrebbe portare i tassi dall’attuale range compreso tra il 3% e il 3,25% al nuovo range compreso tra il 3,75% e il 4%. La domanda che assedia trader e investitori è un’altra: fino a che livello i tassi Usa saranno alzati?
Guardando sia alle scommesse dei trader, dunque al trend dei futures sui fed funds, che alle previsioni degli economisti, la sensazione è che la Fed di Jerome Powell si appresti, se non a fermarsi nella lotta contro l’inflazione – che rimane ancora alta -, almeno a frenare. Sui mercati le certezze sono poche: fatto sta che la probabilità di un altro rialzo dei tassi di 75 punti base nell’ultimo meeting del Fomc del 2022, quello di dicembre, è di appena il 44%.
Tassi Fed, Goldman Sachs punta al 3%
Nelle ultime ore un outlook su ciò che farà la Fed di Jerome Powell è arrivato dagli economisti di Goldman Sachs guidati da Jan Hatzius: gli esperti prevedono un picco, per i tassi Usa, pari al 5%, dopo aver già rivisto al rialzo le stime su cosa annuncerà la banca centrale Usa dopodomani, prevedendo ora una stretta di 75 punti base.
Gli stessi hanno rivisto ulteriormente al rialzo, di 25 punti base, anche l’outlook sulle prossime strette monetarie: ora Goldman Sachs prevede così una stretta di 50 punti base a dicembre, di 25 punti base a febbraio, e di altri 25 punti base a marzo.
Goldman Sachs ha motivato la sua nuova view con l’impressione che l’inflazione Usa rimarrà ancora troppo alta, rispetto al target della Fed pari al 2%.
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Che la Fed non abbia finito il suo lavoro lo hanno chiarito gli stessi funzionari della banca centrale negli ultimi giorni. In particolare, si è espresso così il presidente della Federal Reserve di Philadelphia, Patrick Harker:
“Continueremo ad alzare i tassi per un po’. Vista la chiara e deludente assenza di progressi nel frenare l’inflazione, prevedo che ci muoveremo ben oltre il 4% entro la fine dell’anno”. E attenzione, ha sottolineato Harker. Anche quando il Fomc dirà stop alle strette monetarie, non significa che le cose cambieranno ben presto, ovvero che sarà arrivato il tempo di riabbassarli.
“A un certo punto – ha spiegato il funzionario della Fed – l’anno prossimo, interromperemo i rialzi dei tassi. A quel punto, dovremmo mantenere i tassi nella fase restrittiva per un po’ di tempo, per fare in modo che la politica monetaria faccia il suo lavoro. Ci vorrà un po’ prima che i costi più alti del capitale producano effetti sull’economia. Dopo di che, se sarà necessario, potremo alzare i tassi ancora, a seconda dei dati”.
Tassi Fed, ING: non sperate troppo in Fed meno falco
Ma cosa dicono gli analisti? Da ING James Knightley, responsabile economista globale, Padhraic Garvey, responsabile della divisione di ricerca regionale delle Americhe e Chris Turner, responsabile globale dei mercati e responsabile della divisione di ricerca per UK & CEE ribadiscono la view, condivisa dalla maggioranza degli economisti, di un quarto rialzo consecutivo dei tassi di 75 punti base, rimarcando come il vero interrogativo sia su cosa faranno Powell & Co. nel meeting di dicembre.
Nel motivare le attese di una quarta stretta consecutiva di 75 punti base, ING ricorda che “dopo tutto, i dati sull’inflazione core puntano più verso l’alto che verso il basso; l’economia è tornata inoltre a crescere dopo due trimestri consecutivi di flessione del Pil, mentre la creazione dei posti di lavoro continua, insieme ai posti di lavoro vacanti che superano il numero degli americani disoccupati di quattro milioni. La Fed continua a credere che i rischi sull’inflazione ‘puntino verso l’alto’, che gli aumenti dei tassi siano ‘appropriati’ e che sia necessario un ‘periodo di crescita al di sotto del trend’ per far tornare l’inflazione sotto controllo”.
Di conseguenza, “non è una sorpresa che i mercati finanziari scontino un rialzo di 75 punti base”.
Detto questo, gli esperti di ING fanno notare che il mercato ha iniziato a ridurre le proprie aspettative hawkish, guardando al meeting di dicembre, a seguito della pubblicazione di un articolo del Wall Street Journal firmato da Nick Timiraos.
Dall’articolo, è emerso che “alcuni funzionari (della Fed) temono che le cose si stiano muovendo troppo velocemente”, in riferimento ai tassi. E questo, hanno spiegato gli strategist ed economisti di ING, “ha riaperto la possibilità di un aumento dei tassi di ‘soli’ 50 punti base nel meeting di dicembre. Sono seguiti poi i commenti della presidente della Fed di San Francisco Mary Daly, che ha fatto eco a quanto detto dal governatore della Fed Chris Waller, ovvero al fatto che la Fed ‘starebbe pensando di allentare la velocità delle strette, anche se non ci siamo ancora”.
Ci sono inoltre, si legge nella nota di ING, “i rialzi dei tassi più contenuti avvenuti in Canada e in Australia”, che “hanno lasciato pensare che i banchieri centrali stiano cercando di smorzare la loro aggressività”. Tuttavia, dai piani alti della divisione di analisi del colosso bancario olandese, sottolineano che, “con una inflazione che non riesce a comportarsi come la Fed vorrebbe, la banca centrale sarà riluttante a rallentare il ritmo delle strette, almeno fino a quando non ci sarà la prova che le pressioni sui prezzi si staranno facendo più moderate”.
E il problema è che “il CPI core e il CPI headline continuano a mostrare prezzi che salgono al ritmo mensile dello 0,5% o dello 0,6% quando invece, per riportare l’inflazione al trend di crescita del 2% su base annua, le variazioni mensili del dato (CPI, ovvero indice dei prezzi al consumo) dovrebbero essere più vicine allo 0,2%. Dunque, a fronte dei commenti che hanno avallato la nostra corrente view di un rialzo di 50 punti base nel mese di dicembre, i dati non lo hanno fatto”.
Ciò porta ING a “tenere aperta l’opzione di un rialzo dei tassi di 75 punti base a dicembre, anche se il linguaggio della banca centrale dovesse confermarsi più moderato”.
Infatti, “l’inflazione ostinata lascia pensare che ci sia il rischio che il nostro outlook secondo cui i tassi toccheranno il picco a dicembre (a un valore del 4,25%-4,5%) sia prematuro e che dunque si assista a una stretta finale, a febbraio, di 50 punti base, che corrisponderebbe al picco, portando il tasso terminale al range compreso tra il 4,75% e il 5%”.
Tassi Fed: rialzo novembre l’ultimo di 75pb?
Così hanno commentato da DWS, società che conta 833 miliardi di euro di patrimonio in gestione e che punta a diventare uno dei principali gestori patrimoniali del mondo.
Nella nota:
“Anteprima del FOMC di novembre: l’ultimo rialzo di 75 punti base?”, anche gli analisti si soffermano sulla possibilità che la Fed di Jerome Powell prosegua nella sua lotta contro l’inflazione riducendo comunque l’intensità delle strette: “Sembra che un altro aumento di 75 punti base (bp) del tasso di interesse di riferimento sia praticamente scontato per la riunione della Fed di novembre, che si concluderà il 2 novembre – si legge nel commento – La grande domanda è cosa farà il FOMC nella riunione di dicembre. Sebbene la consueta serie di dati economici sia chiaramente a favore di un altro importante rialzo nel mese di novembre, la Fed ha recentemente ricominciato ad affermare che i rialzi dei tassi hanno bisogno di tempo per dispiegare la loro magia. Potrebbe quindi essere il momento giusto per ricalibrare. Nei mesi di luglio e agosto il mercato ha sperato in una svolta della Fed verso una riduzione dei rialzi dei tassi, ma ciò non è avvenuto e i mercati sono crollati a settembre. Questa volta il mercato non è stato così rapido nel proclamare una svolta della Fed”.
Cosa prevedere, a questo punto?
“Riteniamo che al presidente della Fed Powell e ai suoi colleghi vada riconosciuto il merito di aver riallineato le aspettative del mercato – puntualizzano da DWS – Hanno ribadito con forza il loro mantra di tassi più alti più a lungo, nonostante il probabile costo elevato. Il prossimo compito della Fed, tuttavia, potrebbe rivelarsi un po’ più complicato. La Fed deve aprire un percorso verso riduzioni dei tassi di interesse senza sembrare troppo colomba. E in definitiva ha bisogno di quella che potremmo definire una pausa da falco. Potrebbero esserci alcuni primi segnali di successo in seguito agli aggressivi rialzi dei tassi effettuati finora. I settori dell’economia sensibili ai tassi di interesse, come quello immobiliare, sono in picchiata, alimentando le speranze di un raffreddamento dell’inflazione nei costi degli alloggi, che è uno dei principali motori dell’inflazione complessiva. Inoltre, le aspettative di una moderazione dei prezzi dei beni durevoli sono realistiche. Le scorte rimangono elevate e le interruzioni della catena di approvvigionamento globale si sono attenuate negli ultimi tempi. In secondo luogo, sembra che l’eccesso di domanda di lavoro si stia raffreddando, mentre l’evidenza aneddotica supporta l’idea che le aziende stiano trattenendo i lavoratori, dato che l’offerta di lavoro rimane limitata. Questo potrebbe portare a una riduzione degli aumenti salariali. Infine, ha preso piede l’idea che l’economia statunitense entrerà probabilmente in una (lieve) recessione nei prossimi trimestri. Poiché le previsioni della Fed sulla crescita economica per il 2023 sono attualmente relativamente ottimistiche, la Fed potrebbe riformulare la sua prospettiva in una lieve flessione, persino in una recessione, in cui persistono pressioni inflazionistiche. Ciò giustificherebbe la Fed a fare una pausa nei rialzi dei tassi, ma a mantenerli alti per spegnere l’inflazione – e nel caso in cui fosse necessario aumentarli ulteriormente”.
In conclusione, spiegano da DWS, “la Fed potrebbe iniziare a delineare uno scenario di questo tipo, ma molto probabilmente non prima della riunione di dicembre, quando è previsto l’aggiornamento della sintesi delle proiezioni economiche. Per l’imminente riunione di novembre ci aspettiamo una discussione sulle idee di ricalibrazione dei futuri rialzi dei tassi – e il quarto rialzo consecutivo dei tassi di 75 punti base”.
Tassi Fed, inflazione troppo alta. Come investire
Anticipa le prossime mosse della Fed anche Audrey Bismuth, Global Macro Researcher La Française AM , sottolineando il rapporto deludente sull’inflazione statunitense nonostante l’azione aggressiva della Fed:
“Il rapporto sull’inflazione statunitense di settembre è stato deludente nonostante l’azione aggressiva intrapresa dalla Fed a partire da marzo, ovvero l’aumento dei tassi di 300 punti base (bps) da un livello prossimo allo zero a un intervallo target compreso tra il 3% e il 3,25% – si legge nella nota firmata da Bismuth – Nel complesso, i prezzi al consumo hanno superato le aspettative, aumentando dello 0,4% mese su mese (MoM), mentre i prezzi core, che escludono i generi alimentari e l’energia, sono aumentati dello 0,6%, anch’essi al di sopra di quanto previsto. L’inflazione annuale è scesa leggermente dall’8,3% di agosto all’8,2% di settembre, mentre l’inflazione sottostante ha accelerato dal 6,3% al 6,6%, il valore più alto degli ultimi 40 anni“.
Di conseguenza, “finché persisterà il rischio di inflazione – ha fatto notare la strategist – la Fed proseguirà con un atteggiamento aggressivo”.
Dunque,“riteniamo che sia prematuro discutere di una modifica della politica monetaria. L’inflazione è troppo alta e il mercato del lavoro è troppo rigido. Dopo il comitato di luglio, i responsabili delle politiche della Fed sono cauti nel trasmettere quello che potrebbe essere percepito dal mercato come un messaggio accomodante. La Fed sta allontanando le aspettative di taglio dei tassi. Attualmente, gli investitori si aspettano che la banca centrale allenti la politica monetaria nel quarto trimestre del 2023, riducendo i tassi di 40 punti base. I mercati scommettono su un atterraggio morbido. La Fed vuole evitare che le aspettative di inflazione si sbilancino, perché le previsioni hanno un impatto sulle negoziazioni salariali e alimentano la ‘spirale salari-prezzi’. Altamente sensibili al prezzo della benzina, le aspettative di inflazione dei consumatori sono aumentate a ottobre per la prima volta da marzo. Il sondaggio preliminare dell’Università del Michigan ha mostrato che le aspettative di inflazione a un anno sono salite al 5,1% in ottobre, rispetto al 4,7% di settembre”.
Certo, “gli indicatori macroeconomici mostrano i primi segnali di progresso dopo l’inasprimento della politica monetaria della Fed. Tuttavia, gli effetti dei rialzi dei tassi possono richiedere fino a 12 mesi per essere percepiti nell’economia reale. Come ha indicato di recente la vicepresidente della Fed Lael Brainard, ‘la moderazione della domanda dovuta all’inasprimento della politica monetaria si è finora realizzata solo in parte’. Nel mercato immobiliare, ad esempio, le vendite di case sono diminuite mentre i tassi ipotecari sono saliti al 6,9%, il massimo da 16 anni. Nel mercato del lavoro, il numero di posti disponibili è diminuito di oltre un milione ad agosto, scendendo a poco meno di 10,1 milioni. Anche la crescita dei salari è rallentata; l’Atlanta Fed Wage Growth Tracker, che misura la crescita dei salari nominali delle persone, si è attestato al 6,3% a settembre dopo il 6,7% di agosto. Tuttavia, queste cifre sono ancora elevate rispetto agli standard storici. Inoltre, l’ultima sorpresa dell’inflazione statunitense e i solidi dati sull’occupazione sollevano dubbi sui rialzi dei tassi della Fed”.
In questo contesto, “in primo luogo, i dati economici potrebbero spingere la Fed a rialzare i tassi, causando ulteriori sofferenze all’economia statunitense e ai mercati esteri, data la forza del dollaro? È probabile. Secondo il ‘dot plot’ di settembre, sei dei diciannove policymaker della Fed hanno indicato il 5% l’anno prossimo come limite superiore dell’obiettivo, mentre la proiezione mediana era al 4,75%. Se la Fed aumenterà i tassi di altri 75 punti base a dicembre, i mercati potrebbero prevedere un tasso finale superiore al 5%. In secondo luogo, potrebbero altri rialzi dei tassi risolvere il problema dell’inflazione, che al momento è guidata dagli shock dell’offerta, dall’aumento dei costi dell’energia e dai margini delle imprese? Probabilmente no. Come ha sottolineato di recente la vicepresidente della Fed Lael Brainard: ‘Il ritorno dei margini di vendita al dettaglio a livelli ordinari potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre le pressioni inflazionistiche in alcuni beni di consumo, considerando che i margini lordi di vendita al dettaglio sono circa il 30% del totale delle vendite in dollari’. Inoltre, per ridurre l’inflazione, la banca centrale statunitense deve ridurre significativamente il proprio bilancio. In terzo luogo, può una banca centrale agire da sola nella lotta all’inflazione, senza il sostegno del governo? La risposta è no. Si pensi, ad esempio, al tentativo del Regno Unito di rilanciare l’economia con lo stimolo fiscale, che si è rivelato un fallimento e ha innescato un sell off di obbligazioni questo mese. La politica fiscale e quella monetaria devono convergere verso una riduzione degli stimoli per vincere la battaglia contro l’inflazione”.
Riguardo ai consigli di investimento, l’opinione della Global Macro Researcher La Française AM è la seguente:
“Finché la Fed non terminerà il suo ciclo di inasprimento, che secondo le anticipazioni del mercato non avverrà prima di marzo 2023 nella migliore delle ipotesi, l’aumento dei rendimenti reali continuerà a pesare sugli asset rischiosi e sulle obbligazioni. Un rallentamento del ritmo della stretta monetaria offrirà un sollievo temporaneo per la maggior parte delle asset class. Dato il rischio reale di recessione, riteniamo che gli investitori cercheranno soprattutto la duration”.