Ramenghi (Ubs): “Le criptovalute non possono imporsi come monete di scambio e non sono in grado di conservare il loro valore”
Le criptovalute nel 2017 hanno conosciuto un successo senza precedenti in termini di aumento di numero, valore e diffusione, tanto che – ad oggi – hanno superato le mille unità. Quanto al loro valore, il Bitcoin (che è la criptovaluta più diffusa) valeva circa 1000 dollari all’inizio dello scorso anno e, dopo una salita vertiginosa, è arrivato a sfiorare i 19.000 dollari prima di crollare, perdendo oltre il 50 per cento.
Ma può la criptovaluta diventare una moneta di scambio a tutti gli effetti? Secondo Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy, è assia improbabile: “Il Bitcoin ha, a nostro avviso, delle problematiche operative che gli impediscono di imporsi come moneta di scambio – spiega Ramenghi – Sarebbe tale se venisse utilizzato per effettuare transazioni e se fosse in grado di conservare il proprio valore. E non si tratta di ostacoli facili da superare”.
Tasse e giurisdizione
Come spiega ancora Ramenghi, una valuta tradizionale ha un vantaggio competitivo determinante: può essere utilizzata per pagare le tasse. Infatti, il pagamento delle imposte è la transazione che, cumulativamente, ha il maggior volume in un’economia. “In teoria – dice lo stategist – una transazione potrebbe avvenire utilizzando criptovalute, ma dovrebbe poi essere convertita nella valuta utilizzata per pagare le imposte, lasciando a carico del venditore un importante rischio di cambio”.
Non solo: trattandosi di valute non regolate e difficilmente monitorabili, non è facile comprendere la giurisdizione di una transazione: “Il che rende quasi impossibile effettuare le verifiche legate all’origine dei flussi monetari”, aggiunge lo strategist.
La conservazione del valore
Il secondo elemento di una valuta è conservare il proprio valore. E una moneta deve creare fiducia sul fatto che il proprio valore sia sufficientemente stabile. Per le valute tradizionali la stabilità valutaria viene presidiata dalle Banche centrali. Non è così per le criptovalute che, infatti, sono soggette a una volatilità molto superiore.
“Siamo quindi abbastanza scettici sul futuro delle criptovalute come mezzo di pagamento e riserva di valore – spiega Ramenghi – Tra l’altro, anche l’infrastruttura dei pagamenti sottostante (il blockchain) ha costi di gestione (e ambientali, per via dell’elevato consumo di energia) ben superiori all’attuale sistema dei pagamenti”.
Secondo lo strategist tuttavia la tecnologia blockchain potrebbe essere utile in altre applicazioni, per esempio nella ricerca scientifica.
Non è un bene rifugio
Lo scorso anno molti entusiasti delle criptovalute sostenevano che si trattasse di un bene rifugio alternativo all’oro, per via del numero finito di unità che avrebbe assegnato a queste monete proprietà difensive. Ma, alla prova dei fatti, ovvero con la correzione dei mercati delle ultime settimane, la previsione non si è rivelata corretta.
“Come spesso accade nelle bolle speculative, vi è un elemento di novità e una difficoltà a valutare un bene, in questo caso immateriale”, commenta Ramenghi. Che conclude: “Oggi non è possibile valutare le criptovalute da un punto di vista fondamentale ma, sulla base delle informazioni disponibili, le criptovalute ci sembrano una bolla speculativa”.