Ray Dalio (Bridgewater) presenta il futuro. E avverte: successo populismo mai così alto da prima Seconda Guerra Mondiale
La domanda è semplice, la risposta più complessa. Qual è l’outlook di Ray Dalio, fondatore e numero uno del primo hedge fund al mondo, Bridgewater Associates – che tra l’altro pochi giorni fa ha aumentato le sue scommesse short su due titoli di Piazza Affari – per il 2018?
In un’intervista rilasciata al Financial Times, Dalio, che in questi giorni sta promuovendo il suo libro “Principles: Life & Work”, lancia intendere che il rischio che probabilmente tutti stanno sottovalutando è probabilmente quello di un surriscaldamento dell’economia.
A suo avviso, le condizioni di salute dell’economia globale appaiono infatti positive, e tale fattore dovrebbe sostenere i corsi azionari ancora per un po’.
Tuttavia, riporta l’FT, il suo timore è che, in un contesto in cui la crescita economica continuerà ad accelerare il passo, per le banche centrali sarà difficile alzare i tassi di interesse senza correre il rischio di scatenare una recessione, nell’arco di due anni a questa parte.
Dalio – che nel 2007 anticipò la fine del boom del mercato immobiliare Usa, per poi prevedere nel 2008 il collasso delle banche e l’implosione dei mercati del credito – mette in evidenza come, a cambiare in questi ultimi anni, siano stati gli stessi parametri che utilizza per fare previsioni sui mercati.
Se prima dell’ultima crisi finanziaria, ricorreva a modelli sui flussi finanziari, sul debito e la crescita per stilare l’outlook sulla direzione dei mercati, ora il gestore ritiene che non abbia senso fare riferimento all”economia” nel suo complesso, intesa come “macchina” che ingloba tutti i fondamentali da considerare.
E questo perchè le disuguaglianze stanno crescendo così velocemente che non si può parlare più, in senso lato, di economia, ma di “economie” multiple: il che significa che, se è vero che le elite vivono in un’economia in fase di espansione, “per il 60-80%, la verità è quella di un’economia depressa che non sta crescendo bene“.
iò significa anche che l’America ha bisogno di “una Commissione nazionale per ripensare ai parametri economici”.
Le ripercussioni delle diseguaglianze non finiscono qui: il loro impatto sarà così forte che saranno i conflitti politici, non economici, a pilotare i mercati nel 2018 e oltre.
“(Di questi tempi) non c’è più la volatilità che caratterizzava l’inflazione, la crescita e i tassi di interesse. Dunque i problemi politici sono più importanti delle questioni macroeconomiche. Un tempo, il mondo guardava alle politiche monetarie delle banche centrali. Ora non è più così“, aggiunge Dalio, sottolineando che ciò a cui gli investitori dovrebbero guardare non dovrebbe essere più (solo) la Fed, “ma le prossime elezioni in Francia o nel Regno Unito”.
Tra l’altro, secondo il gestore, “è possibile convertire qualsiasi cosa si stia pensando in un algoritmo“.
Ciò è vero al punto che Dalio ammette che il suo team “ha creato un parametro che misura il conflitto, studiando le parole (che vengono utilizzate nei media) e ad alcuni fattori”.
Praticamente, “abbiamo esaminato tutti i conflitti politici che sono avvenuti in passato e l’impatto sui mercati (per la creazione di modelli)”.
L’esito è piuttosto allarmante.
L’anno scorso, per esempio, gli analisti di Bridgewater Associets hanno calcolato che la proporzione del voto inglobata dai candidati populisti è salita dal 7% circa nel 2010 al 35% nel 2017. Una tale oscillazione si è manifestata soltanto una volta prima, megli anni prima, appena prima della Seconda Guerra Mondiale.
Dunque, gli viene chiesto: gli algoritmi sono per caso capaci di prevedere un’altra guerra?
Dalio non risponde, ma ammette di non intravedere niente che lasci pensare a un dietrofront di questa traiettoria. Questo, in parte, perchè la tecnologia digitale sta inesorabilmente esarcerbando le disuguaglianze, eliminando posti di lavoro.
“Ci stiamo dirigendo verso un mondo in cui o impareremo a scrivere algoritmi e a parlare questa lingua, o saremo rimpiazzati dagli algoritmi”.
L’altro grande problema è il continuo aumento dei debiti a livello globale:
“Non sto stimando niente di simile al tipo di debt crunch a cui abbiamo assistito nel 2008. Ma stiamo assistendo a una contrazione delle condizioni finanziarie che finirà sempre di più per danneggiare quel 60% della gente, soprattutto quando si presenterà la prossima recessione“.