Sanzion e dazi Usa, asse Cina-Russia contro Trump? Mosca scarica dollaro, Pechino valuta due armi finanziarie
Asset finanziari sempre più ostaggio di geopolitica e commercio e, allo stesso tempo, sempre più strumenti di guerra, armi da sfoderare per sferrare attacchi contro il nemico di turno. La correlazione tra finanza e geopolitica e finanza e commercio si fa più stretta di ora in ora, come dimostra il crollo record della borsa di Mosca successivo all’imposizione, venerdì scorso, delle sanzioni Usa; e come dimostrano anche le minacce di ritorsioni che stanno arrivando in questo momento dalla Russia di Vladimir Putin.
La borsa di Mosca è sotto pressione anche nella sessione odierna, con l’indice RTS che cede un altro -5%, all’indomani di un tonfo superiore a -11%. Altri asset come rublo e bond sono di nuovo KO.
In tutto, le misure punitive degli Stati Uniti contro la Russia hanno colpito sette oligarchi, 12 aziende che possiedono o controllano e 17 alti funzionari governativi russi. I nomi erano già presenti nella lista nera Kremlin Report, che era stata stilata a fine gennaio dal Tesoro Usa.
Una carrellata di dichiarazioni arriva da Mosca.
Il portavoce del Cremlino avverte che la Russia non si piegherà alle pressioni dell’Occidente. Parla anche Elvira Nabiullina, governatore della banca centrale russa.
“E’ naturale che le sanzioni provochino la flessione dei mercati, innescando una maggiore volatilità”. D’altronde, “i mercati e l’economia hanno bisogno di tempo per scontare le sanzioni”. Detto questo, tuttavia, “per ora, non ci sono rischi sulla stabilità finanziaria”.
Rassicurazioni alla comunità internazionale degli investitori, che evidentemente dopo la notizia delle sanzioni Usa si preparano alla fuga dagli asset russi, arrivano anche dal ministro dell’economia Oreshkin, che spiega che “il recente sell off scatenato dalle sanzioni deriva semplicemente dalla volatilità del mercato” e che aggiunge che “le oscillazioni del rublo aiuteranno a mitigare l’impatto” delle misure punitive varate da Donald Trump.
E mentre l’indice azionario RTS scende al minimo dall’agosto del 2017 e il rublo testa nuovi minimi dell’anno scendendo fino a quota 64 per dollaro, Bloomberg riporta indiscrezioni che rinfocolano i timori di una guerra commerciale tra Pechino e Washington.
Le trattative tra le controparti si sarebbero interrotte la scorsa settimana, dopo che l’amministrazione Trump ha chiesto alla Cina di porre fine ai sussidi a favore di quei settori la cui crescita è stata promossa dall’iniziativa “Made in China 2025”.
Richiesta rimandata al mittente, visto che la fonte interpellata da Bloomberg ha riportato che la risposta cinese è stata no. Lo avrebbe riferito, giovedì scorso, lo stesso Liu He, vice premier responsabile dell’economia e della finanza in Cina, ad alcuni funzionari.
A quel punto anche gli Usa hanno rifiutato la proposta di Pechino di contribuire al taglio del deficit americano di 50 miliardi di dollari, attraverso le importazioni di gas naturale liquefatto, prodotti agricoli, semiconduttori e beni di lusso.
Stando a quanto riportato dalla fonte a Bloomberg, Liu ha detto anche che il presidente cinese Xi Jinping sarà pronto a combattere duramente contro gli Stati Uniti, nel caso in cui Trump dovesse decidere di lanciare una guerra commerciale (che secondo alcuni esperti è praticamente già iniziata, con i vari dazi doganali che sono stati imposti tra le controparti).
La Cina, si apprende ancora, sarebbe pronta comunque a trattare con gli Stati Uniti, ma non inizierà i negoziati alle condizioni attuali.
Tutto ciò sta avvenendo in una scacchiera geopolitica e finanziaria globale che vede rafforzarsi l’asse Russia-Cina.
Basti pensare che lo scorso giovedì, in occasione di una visita a Mosca, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto che la relazione di Pechino con i russi non è andata mai così bene, affermando che “è ai livelli migliori della storia”.
In un momento in cui sia la Russia che la Cina sono ai ferri corti con l’America di Donald Trump – la prima appena colpita dalle sanzioni, la seconda target del protezionismo di Trump – non è assurdo pensare a una rappresaglia congiunta dei due paesi contro Washington.
Le minacce russe in risposta alle sanzioni Usa sono già arrivate: d’altronde, le misure punitive di Washington annunciate lo scorso venerdì 6 aprile sono le più aggressive imposte finora contro aziende russe che operano a livello globale, e che fanno affari dunque con gli Stati Uniti (o meglio, hanno fatto affari fino allo scorso 6 aprile).
La gravità della situazione è stata confermata da un alert sulla situazione geopolitica e finanziaria, che è arrivato nelle ultime ore e per l’ennesima volta da Ray Dalio, fondatore dell’hedge fund numero uno al mondo, Bridgewater Associates.
In un commento pubblicato su LinkedIn, Dalio ha scritto chiaramente che “i recenti sviluppi geopolitici mi hanno portato a rivedere al rialzo le probabilità di una guerra commerciale e anche di altri tipi di guerre, come guerre di capitali, guerre cibernetiche (e anche, forse, guerre di carattere prettamente militare)”.
MOSCA PREPARA RITORSIONE: ALTRO PASSO VERSO DE-DOLLARIZZAZIONE:
Mosca starebbe già lavorando a una ritorsione, come emerge dalle dichiarazioni del ministro dell’Energia russo Aleksandr Novak, che ha riferito che il Cremlino sta valutando di scaricare sia il dollaro che l’euro nei pagamenti per le transazioni di petrolio.
L’intenzione di utilizzare piuttosto la valuta nazionale è stata espressa soprattutto in merito alle transazioni con la Turchia e l’Iran, che sarebbero tra l’altro d’accordo a rinunciare entrambe al dollaro.
“Questa (idea) interessa sia la Turchia che l’Iran – ha detto Novak – Stiamo considerando l’opzione di lanciare pagamenti nelle nostre valute nazionali con (i due paesi). Ciò richiede di operare alcuni aggiustamenti nei settori finanziario, economico e bancario”.
Già Teheran ha firmato un accordo con la Turchia per utilizzare le valute locali nel commercio, invece del dollaro e dell’euro, al fine di migliorare le relazioni bilaterali economiche e commerciali con Ankara. Uno schiaffo non di poco conto contro il dollaro e anche contro l’Europa.
A rendere più tesi i rapporti Washington-Mosca, le dichiarazioni con cui Trump ha accusato la Russia e l’Iran di essere responsabili, insieme al regime di Assad, dell’attacco contro Douma, in Siria, e con cui ha avvertito che, se le indiscrezioni su un attacco chimico verranno confermate, il regime di Bashar al Assad e i suoi alleati Russia e Iran “pagheranno un prezzo alto”.
LE DUE ARMI DELLA CINA: UNA E’ STATA GIA’ USATA?
A dispetto del tono conciliante del presidente cinese Xi Jinpin, nelle ultime ore sono arrivati rumor, diffusi da SGH Macro Advisors, società di consulenza tra le favorite del mondo degli hedge fund macro, secondo cui Pechino, dopo i ripetuti dazi doganali imposti dall’amministrazione Trump, avrebbe deciso di sganciare quella che viene considerata la sua bomba finanziaria più potente: ovvero la decisione di vendere quei Treasuries Usa che detiene per un valore superiore a $1 trilione, confermandosi principale detentore estero di titoli di Stato Usa.
“Nonostante l’incoraggiamento diretto da parte del segretario al Tesoro Usa Steve Mnuchin alla Cina di ‘rimanere ferma’ – stando ad alcune fonti cinesi – sembra che Pechino abbia interrotto gli acquisti di Treasuries Usa ‘nelle ultime settimane'”.
L’altra arma che Pechino starebbe considerando sarebbe quella della svalutazione della sua moneta, lo yuan.
Stando a quanto ha riportato Bloomberg sulla base di alcune fonti vicine al dossier, Pechino starebbe considerando l’eventualità di procedere a un deprezzamento graduale della moneta.
C’è da dire a tal proposito che, a fronte degli attacchi del presidente americano, che continua a criticare la Cina accusandola anche di mantenere artificialmente basso il valore dello yuan, la moneta cinese in realtà si è rafforzata del 9% circa nei confronti del dollaro da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca.
Lo scorso mese, inoltre, lo yuan ha testato il valore più alto dall’agosto del 2015.