Scenario da incubo con no-deal Brexit. Pil -9%: Tesoro britannico prepara liquidità per oltre 4 miliardi
No-deal Brexit, lo scenario da incubo è stato ripresentato nelle ultime ore dal governo May, poco dopo l’intervento al Parlamento UK della premier britannica, che ha aperto all’opzione di estendere l’Articolo 50.
L’allarme, nel Regno Unito, è palpabile.
Il documento del governo ha confermato anche che il Tesoro ha messo a disposizione una liquidità superiore a 4 miliardi di sterline, nel caso in cui si concretizzasse il worst-case scenario, ovvero una Brexit senza accordo: di questa somma, 2 miliardi è stata allocata per l’anno fiscale 2019-2020. Il Financial Times riporta inoltre le rassicurazioni della Bank of England, che sarebbe disposta a tagliare i tassi di interesse a sostegno dell’economia, in caso di Brexit disordinata.
In particolare, segnala anche l’Independent, Gertjan Vlieghe, membro della commissione di politica monetaria della Bank of England, ha riferito alla Commissione del Tesoro che, con l’addio del Regno Unito all’Ue, i tassi di interesse “potrebbero muoversi in entrambe le direzioni”. Tuttavia, in caso di no-deal Brexit, i tassi verrebbero lasciati invariati o, anche, tagliati.
D’altronde, stando al report governativo, in questo scenario il Pil britannico calerebbe fino a -9%; i prezzi dei beni alimentari schizzerebbero verso l’alto, se si considera che il 30% di essi arriva proprio dai paesi dell’Unione europea che, in assenza di un accordo, non avrebbero remore a imporre dazi doganali. Dazi doganali da guerra commerciale, visto che, secondo l’analisi, l’Ue potrebbe arrivare a imporre tariffe fino al 70% sulle esportazioni di manzo, al 45% su quelle di agnello e fino al 10% su quelle di auto.
A quel punto tra i britannici si scatenebbe la corsa agli acquisti sulla scia del panico, con conseguente scarsità dell’offerta e scaffali vuoti nei negozi. Scenario che sembra riguardare più un paese come il Venezuela che non uno come il Regno Unito.
Il caos, a livello commerciale, sarebbe inoltre notevole, visto che il Regno Unito ha firmato soltanto sei dei 40 accordi commerciali globali previsti con la Brexit.
L’impatto sull’economia sarebbe diverso a seconda delle regioni: Scozia e Galles subirebbero nei prossimi 15 anni una contrazione del Pil dell’8%; l’Irlanda del Nord pagherebbe con un calo del 9% e il nord-est dell’Inghilterra con una perdita di ben -10,5%.
Tra i settori, a pagare il dazio più alto sarebbero la pesca scozzese e gli allevamenti di ovini in Galles, se si considera che, in quest’ultimo caso, il 92% della carne di agnello viene esportata in Unione europea.
Lo sanno bene i diretti interessati, che in precedenza hanno lanciato diversi allarmi sul rischio che il settore finisca con lo scomparire.
In generale, a essere più colpita sarebbe però l’Irlanda del Nord: “le catene dell’offerta strettamente interconnesse e l’aumento dei costi metterebbero a rischio la stessa sopravvivenza di diverse aziende dell’Irlanda del Nord. Esiste il rischio che alcune imprese non abbiano tempo a sufficienza per prepararsi (allo scenario di un no-deal Brexit). Tale situazione potrebbe tradursi in fallimenti di aziende”.
La situazione è tale che Theresa May, nel suo discorso al Parlamento proferito nella giornata di ieri, è stata costretta a garantire alla Camera dei Comuni la scelta di esprimersi sulla prospettiva di un no-deal Brexit e sull’estensione dell’Articolo 50.
Questi i cruciali appuntamenti del calendario Brexit:
- Westminster si esprimerà sulla proposta sulla Brexit rivista dal governo May -dopo la bocciatura dello scorso 15 gennaio – entro il prossimo 12 marzo.
- Se la proposta sarà nuovamente rigettata, entro il 13 marzo i parlamentari voteranno una mozione che chiederà il loro “consenso esplicito” alla prospettiva di una ‘no-deal Brexit”, come ha confermato la stessa May.
- Se i parlamentari dovessero bocciare questa mozione, il prossimo 14 marzo verrà presentata alla Camera dei Comuni un’altra mozione, che offre l’opzione di “una estensione breve e limitata dell’Articolo 50” al di là del 29 marzo.
C’è da dire che l’estensione dell’Articolo 50, per essere davvero operativa, avrebbe bisogno del sì dell’Unione europea. In tal senso, Bruxelles non si è opposta. Tutt’altro. Indiscrezioni circolate di recente segnalano che l’Ue sarebbe favorevole a un rinvio della Brexit, addirittura, di 21 mesi.