Violazione sanzioni Usa, tangenti in Turchia e riciclaggio fondi iraniani. Il caso del misterioso trader che fa tremare Erdogan
Si chiama Reza Zarrab, e fino a un anno fa appena era conosciuto per essere un ricco trader, che aveva ammassato una fortuna facendo trading sull’oro.
Ora, Zarrab è anche una bomba pronta a esplodere sulla testa del presidente turco Erdogan e a incrinare ulteriormente le già fragili relazioni tra gli Usa e la Turchia.
Da uomo di successo, con una villa da sogno con vista sul Bosforo, un jet privato e una notorietà legata al suo matrimonio con una pop star, Zarrab, 34 anni, è finito dietro le sbarre dopo essere stato arrestato all’aeroporto di Miami l’anno scorso, in Usa, mentre si recava con la sua famiglia a Disney World: quella che doveva essere una semplice vacanza, si è trasformata in un incubo, per lui e anche, secondo diversi opinionisti, per Recep Tayyip Erdogan.
L’accusa delle autorità Usa è pesante: l’investitore, noto in patria per fare trading sull’oro, avrebbe fatto parte di uno schema creato per riciclare miliardi di euro dell’Iran legati alle riforniture di petrolio e gas. Uno schema in chiara violazione delle sanzioni nucleari che gli Stati Uniti avevano comminato a Teheran.
Il punto è che Zaraab si è dichiarato colpevole e ha deciso di cooperare con le autorità americane. E qualche bomba l’ha anche già lanciata riferendo, in occasione del processo che si sta tenendo a New York, che Erdogan, primo ministro all’epoca della presunta violazione delle sanzioni Usa contro l’Iran, non solo era consapevole dello schema, ma diede anche il suo consenso.
D’altronde Zarrab era molto vicino all’attuale presidente della Turchia, tanto che il suo nome appariva nella cerchia dei suoi più stretti collaboratori.Forte di questa posizione, il trader potè tranquillamente pagare tangenti all’allora ministro dell’economia, Zafer Caglayan, di un valore compreso tra 45-50 milioni di euro, per poter riciclare diversi fondi iraniani del valore di miliardi di euro (fondi che sarebbero dovuti rimanere congelati in base alle sanzioni di Washington) e depositati presso la banca statale turca Halkbank.
Tali fondi vennero liberati e utilizzati per acquistare lingotti di oro, che vennero poi inviati segretamente a Dubai, nell’ufficio del trader, e venduti in cambio di cash.
In questo modo, Teheran riuscì praticamente a utilizzare i proventi ottenuti dalla vendita di petrolio e gas per effettuare pagamenti internazionali.
Si arrivò nello schema anche a concludere accordi di vendite fittizie di beni alimentari a Tehran, visto che le consegne di cibo e medicine erano esenti dalle sanzioni.
Erdogan, dal canto suo, insiste che la Turchia non ha violato alcuna sanzione, ma quanto pensa si riflette nella rabbia che gli alti funzionari politici di Ankara riescono a malapena a celare: il loro sospetto è che il processo in corso a New York sia un complotto orchestrato per gettare il paese nell’instabilità, dietro la regia di Fethullah Gulen, l’imam in esilio che secondo Erdogan & Co sarebbe la mente del golpe, poi fallito, del 2016.