Westminster frena il no-deal Brexit di Johnson, ma aumentano timori recessione UK
Una recessione provocata dalla Brexit, ovvero una Brexit-induced recession. E’ quanto temono sempre di più gli analisti e gli economisti che guardano al Regno Unito, sulla scia dei pessimi numeri appena arrivati dal fronte macroeconomico. Questo, mentre va in scena nel paese l’ennesima crisi costituzionale, con il premier Boris Johnson che viene messo KO dal Parlamento.
Riunitosi dopo la pausa estiva, il Parlamento ha votato infatti a favore della proposta di legge presentata da alcuni parlamentari per impedire il no-deal Brexit, con 328 sì e 301 no, grazie anche al sostegno dei cosidetti Tory ribelli.
Il sì è stato dato, per l’esattezza, alla mozione presentata da alcuni parlamentari per lanciare un dibattito di emergenza sulla Brexit.
House of Commons votes 328 to 301 to approve the emergency debate motion on European Union (Withdrawal).
This removes control of the business on 4 September 2019 from the Government, enabling the introduction of further EU Withdrawal legislation. pic.twitter.com/CDRsRZli6S— UK House of Commons (@HouseofCommons) September 3, 2019
L’esito del voto comporta che, a partire dalla giornata di oggi, 4 settembre 2019, il governo non ha più il controllo del processo sulla Brexit. Ciò significa che è possibile, da parte di Westminster, avanzare nuove proposte sul divorzio del paese dal blocco europeo. Sarà votata a tal proposito stasera la proposta di legge che lega le mani al premier Boris Johnson, impedendogli di far uscire il Regno Unito dal blocco europeo in assenza di un accordo con Bruxelles. Dal canto suo, Johnson ha annunciato la presentazione di una mozione per il ritorno alle urne, affermando che non si recherà a Bruxelles per chiedere un nuovo rinvio.
“Non andrò” a Bruxelles a chiedere un altro rinvio, ha detto.
Mentre si consuma l’ennesima crisi politica, dal fronte economico arriva l’ennesima brutta notizia.
L’indice PMI del settore dei servizi reso noto da Markit è sceso ad agosto ad appena 50,6 punti, rispetto ai 51,4 punti di luglio. Ancora più allarmante l’indice di Markit noto come All Sector Output Index, che è precipitato sotto la soglia di 50 punti (linea di demarcazione tra fase di contrazione, valori al di sotto, e fase di espansione, valori al di sopra, dell’attività economica”, attestandosi a 49,7 punti. Il dato, pessimo, conferma la contrazione del settore privato, provocata soprattutto dai trend negativi dei settori manifatturiero ed edilizio.
Dall’indice emerge che le società che operano nel settore dei servizi, che rappresentano il fulcro dell’economia britannica, hanno segnalato un forte rallentamento, a agosto, della crescita delle proprie attività. Molte hanno puntato il dito contro l’incertezza politica legata alla Brexit, che si è tradotta di per sé in minori investimenti dal parte del mondo Corporate.
A dispetto della debolezza della sterlina, inoltre, le nuove esportazioni sono rimaste in una fase di stallo, in quanto alcuni clienti europei hanno preferito attendere un momento meno confuso, nel paese, per fare shopping di prodotti UK.
Il risultato è che la fiducia elle imprese è scivolata al minimo degli ultimi tre anni, ovvero dal referendum sulla Brexit del 23 giugno del 2016. Markt, la società che ha stilato l’indice Pmi, ha già detto di temere che l’economia UK si contrarrà dello 0,1% circa nel terzo trimestre del 2019. Un tale trend del Pil farebbe scivolare il paese nella sua prima recessione in dieci anni, dopo il -0,2% del Pil del secondo trimestre.