Pensioni e Quota 103, governo Meloni rilancia l’ipotesi: ma rivista e corretta
Nuovo cambio di rotta sulle pensioni.
Dopo che la Lega di Matteo Salvini si è messa letteralmente di traverso a Quota 104, spunta l’ipotesi di una nuova versione di Quota 103, che permetterebbe di uscire dal lavoro anticipatamente, al compimento di 62 anni con 41 di contributi.
Ma attenzione: siamo davanti ad una versione rivista e corretta di Quota 103, diversa da quella che abbiamo conosciuto fino a questo momento.
Stando alle indiscrezioni che sono circolate in queste ore, l’assegno verrà calcolato basandosi sul sistema contributivo e non potrà avere un valore lordo mensile superiore a quattro volte il trattamento minimo previsto.
Almeno per quanto riguarda l’assegno previdenziale legato alle mensilità relative alla pensione anticipata.
Quota 103: ecco come sarà
Il governo Meloni sembra aver effettuato un altro passo indietro nella gestione delle pensioni.
L’ipotesi, infatti, sarebbe quella di tornare a Quota 103, anche se la misura sarà rivista e corretta.
Chi dovesse decidere di uscire dal mondo del lavoro utilizzando questa misura si vedrà cancellare i vantaggi dei versamenti effettuati prima del 1996.
L’assegno previdenziale, inoltre, non potrà essere superiore a quattro volte il minimo previdenziale che è previsto dalla legislazione vigente.
In altre parole, almeno per il 2023, questo importo non potrà essere superiore a 2.252 euro, dato che, oggi come oggi, la pensione minima è pari a 563 euro.
Questo, comunque, non è tutto.
Si allungheranno anche i tempi per le finestre di uscita, che passeranno da tre a sei mesi per il settore privato.
Per i dipendenti del comparto pubblico, invece, passeranno da sei a nove mesi.
Cosa significa tutto questo? In altre parole si allungheranno i tempi che intercorrono dal raggiungimento dei requisiti al momento in cui sarà possibile andare effettivamente in pensione.
Il regime contributivo
Il governo Meloni, inoltre, avrebbe intenzione di introdurre un’altra importante novità, che coinvolgerà le pensioni anticipate.
Quanti dovessero ricadere completamente nel sistema contributivo – sono i soggetti che non hanno versato contributi prima del 1996 – hanno la possibilità di uscire dal mondo del lavoro solo e soltanto nel momento in cui abbiano maturato un importo di pensione pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale (nel 20232 è pari a 503 euro), valore che si riduce a 2,8 volte nel caso in cui la lavoratrice sia una donna con un figlio.
Si scende a 2,6 volte nel caso in cui i figli siano almeno due.
La rivalutazione all’85%
Il ritorno di Quota 103 verrà bilanciato dalla rivalutazione all’85%, che avrà effetti diretti su quanti percepiscono le pensioni con importi compresi tra le quattro e le cinque volte il minimo.
Sostanzialmente sono gli assegni previdenziali compresi nella forbice tra i 2.250 euro ed i 2.800 euro.
Il governo Meloni aveva ipotizzato di portare la rivalutazione al 90%, ma a questo punto sarebbe pari all’85%.
Ad essere penalizzati sarebbero anche i trattamenti pensionistici che prevedono importi superiori alle 10 volte il trattamento minimo, per i quali la rivalutazione passerebbe dal 32 al 22%.
Altra novità coinvolgerebbe l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita relativo alle pensioni anticipate che potrebbe essere nuovamente anticipato dal 2027 al 2025.
Nulla cambierebbe, invece, per Opzione Donna e Ape Sociale, per le quali rimarrebbero le stesse condizioni previste nelle bozze precedenti:
- 61 anni di età, con gli altri requisiti invariati;
- 63 anni e 5 mesi di età e i rimanenti requisiti invariati.
Ovviamente per conoscere quali soluzioni il governo Meloni ha intenzione di adottare è necessario attendere la conclusione dell’iter parlamentare della Legge di Bilancio 2024.