Istat, record di posti fissi ma salgono i precari: i numeri del rapporto Bes
Aumentano i posti fissi, ma crescono anche i precari. Una dicotomia che emerge dal rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile (Bes), il documento che tiene conto degli indicatori sullo stato di salute del Paese oltre il Pil.
Giunto alla undicesima edizione, anno dopo anno, il Rapporto Bes mostra un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali che caratterizzano il nostro Paese, attraverso l’analisi di numerosi indicatori suddivisi in 12 capitoli. In particolare, ci concentreremo sul terzo dedicato al mondo del lavoro “Lavoro e conciliazione dei tempi di vita”.
Nei primi mesi del 2024, il numero di posti di lavoro fissi ha quasi toccato il record di 16 milioni, con un trend in crescita che va avanti dalla fine della pandemia. Ma la percentuale di lavoratori con contratti a termine da almeno cinque anni è aumentata dal 17% nel 2022 all’18,1% nel 2023. Questo fenomeno è descritto dall’Istat come una situazione in cui gli occupati continuano a svolgere lo stesso lavoro, ma attraverso una serie di contratti temporanei. Tale condizione comporta un prolungato stato di precarietà lavorativa, senza segnali di miglioramento evidenti.
Crescono posti fissi e precari, i dati
Nemmeno un elevato titolo di studio può salvare i lavoratori da forme di “precariato”. Anzi, sembra addirittura amplificarla: tra i laureati, la percentuale di lavoratori con contratti a termine da oltre cinque anni è aumentata di più (+2,4 punti percentuali) rispetto a coloro che hanno solo il diploma (+1,3), mentre per chi ha solo la licenza media l’incremento è minimo (+0,4). Questo trend si riflette anche nelle categorie lavorative, con i lavoratori meno qualificati che subiscono un aumento più marcato. Gli operai registrano un aumento del +2,5%, mentre i lavoratori più qualificati mostrano un aumento del +2,2%.
Inoltre, nel 2023 si è osservato un aumento maggiore dei precari a lungo termine tra i lavoratori italiani (+1,2%), che includono una percentuale più alta di laureati, rispetto ai lavoratori stranieri (+0,7%), che tendono ad essere meno qualificati.
Questa prolungata stagnazione nel regno dei contratti a termine porta con sé una serie di problematiche nel mercato del lavoro. Ad esempio, la percentuale di lavoratori sovraistruiti, ovvero coloro che possiedono un livello di istruzione superiore a quello richiesto per la professione svolta, raggiunge il 38,7% nei contratti a termine, con punte del 46,8% nella pubblica amministrazione.
Sebbene il part-time involontario, ossia quello non desiderato ma accettato per necessità, stia diminuendo, questo non si applica ai lavoratori con contratti a termine. Nonostante la diminuzione tra i dipendenti a tempo indeterminato e gli autonomi, non si osserva alcuna riduzione tra i lavoratori con contratti a termine, dove il fenomeno rimane diffuso al 22,9%.
Aumenta l’occupazione femminile, ma il divario di genere è ancora ampio
Nel corso del 2023, si è registrato un ulteriore aumento del numero di occupati tra i 20 e i 64 anni, con un incremento di 404 mila unità (+1,8% rispetto al 2022), sebbene con un lieve rallentamento rispetto all’anno precedente. Il tasso di occupazione ha raggiunto il 66,3%, corrispondente a un aumento di 1,5 punti percentuali rispetto al 2022 e di 2,7 punti percentuali rispetto al 2019.
Mentre nel 2022 la crescita era stata principalmente tra gli uomini, nel periodo tra il 2022 e il 2023 il tasso di occupazione è aumentato maggiormente tra le donne (+1,6 punti percentuali, +1,3 tra gli uomini). Rispetto al 2019, l’aumento è positivo e simile per entrambi i sessi (+2,7 punti percentuali per gli uomini e +2,6 per le donne). Il tasso di occupazione è ora del 76,0% per gli uomini e del 56,5% per le donne. Il divario di genere ha subito una lieve riduzione, ma rimane molto elevato (19,5 punti percentuali, -0,3 rispetto al 2022).
Positivi i dati economici, ma ancora alti i dati sulla povertà assoluta
Globalmente, la situazione economica italiana è migliorata rispetto all’anno precedente e, in alcuni casi, anche rispetto al 2019. Il reddito disponibile lordo pro-capite è aumentato del 14,9% rispetto al 2019, superando i livelli pre-pandemia, e anche il reddito medio delle famiglie è tornato a crescere, raggiungendo i 33.798 euro, con un aumento sia in termini nominali (+3%) sia in termini reali (+1%).
L’unico indicatore che peggiora rispetto alla situazione pre-pandemia è quello della povertà assoluta, principalmente dovuto all’inflazione che ha eroso significativamente il potere d’acquisto delle famiglie. La percentuale nel 2023 è del 9,8%, sostanzialmente stabile rispetto al 2022 (che era del 9,8%), ma comunque in aumento negli ultimi anni; basti pensare che nel 2019 era al 7,6%.
La perdita di potere d’acquisto negli ultimi 5 anni
Dopo un periodo di bassa inflazione, con una variazione media annua dello 0,6% nel 2019 e addirittura negativa nel 2020, i prezzi hanno subito un repentino aumento nel 2021 e nel 2022. Nel 2022, i prezzi al consumo sono aumentati in media dell’8,1% durante l’anno, segnando il più grande incremento dal 1985, quando fu del 9,2%, con un picco nel quarto trimestre del 11,7%. Nel 2023, le pressioni sui prezzi sono state abbastanza moderate. L’inflazione è rapidamente diminuita nel corso dell’anno, raggiungendo lo 0,6% a dicembre. Nei primi due mesi del 2024, il tasso di variazione dei prezzi rimane su valori molto moderati, inferiore persino all’1%.
Ma questo rallentamento non ha permesso di recuperare i danni del periodo precedente. Dal 2019 al 2023, il livello medio dell’indice dei prezzi al consumo (Nic) è aumentato del 16,2%, con significative differenze tra le varie divisioni di spesa. La variazione più ampia, quasi triplica rispetto all’indice generale, riguarda “Abitazione, acqua, elettricità, gas e altri combustibili”, con un aumento del 45%, principalmente a causa dell’aumento dei prezzi dei beni energetici dovuti alla guerra in Ucraina.
Anche i prodotti alimentari e le bevande analcoliche hanno registrato un incremento significativo del 22,5%, seguiti dai Trasporti e dai Servizi ricettivi e di ristorazione (+16,5% e +16,3% rispettivamente). Gli altri settori del paniere mostrano variazioni medie via via più contenute, fino alla divisione delle Comunicazioni, che ha registrato una flessione dei prezzi del 10,1%.