Redditi e fisco, in Italia aumentano le diseguaglianze
Crescono le diseguaglianze dei redditi delle famiglie italiane. Soprattutto quando sono alle prese con il fisco. L’1% delle persone più ricche del nostro paese paga meno tasse rispetto al 99% dei rimanenti contribuenti. È quanto emerge da uno studio effettuato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dall’Università di Milano-Bicocca, che è stato pubblicato all’interno della rivista scientifica Journal of the European Economic Association.
L’analisi mette in evidenza che il sistema fiscale italiano è blandamente progressivo. Anzi, arriva a diventare regressivo, almeno per il 5% degli italiani più ricchi, che arrivano a pagare un’aliquota inferiore al 95% dei contribuenti.
Il fisco italiano non è progressivo
Il fisco italiano finisce sotto la lente d’ingradimento di una recente analisi effettuata dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dall’Università di Milano-Bicocca, nella quale viene posto l’accento sul fatto che l’1% delle persone più ricche residenti in Italia paga meno del rimanente 99% dei contributi. Ma non solo: il fisco italiano è apparso blandamente progressivo, tanto che i ricercatori che hanno fatto lo studio sottolineano che il 5% degli italiani con i redditi più alti paga un’aliquota più bassa rispetto al 95% dei contribuenti.
Dallo studio arrivano, inoltre, importanti conferme sulle differenze di tassazione in relazione alla tipologia di redditi: i lavoratori dipendenti pagano più imposte. Seguono i lavoratori autonomi e pensionati. Per ultimi ci sono quanti percepiscono delle rendite finanziarie dei proventi delle locazioni immobiliari.
Questo lavoro – ha spiegato Demetrio Guzzardi, autore dello studio e ricercatore in Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – combina diverse fonti di dati, quali dichiarazioni dei redditi, indagini campionarie di Istat e Banca d’Italia, stime sulla distribuzione del patrimonio netto, per distribuire a livello individuale l’intero ‘reddito nazionale netto’, corretto per l’evasione fiscale. Così è stato possibile identificare le fasce di reddito che hanno perso di più negli ultimi anni.
La perdita del reddito
Lo studio pone l’accento anche sul fatto che, nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2015, il reddito nazionale reale si è ridotto del 15%. Purtroppo con delle forti differenziazioni. Il 50% più povero degli italiani subiva una perdita maggiore, registrando un calo del 30%.
Nella fascia di reddito più povera ad essere stati maggiormente colpiti sono i giovani, quelli con un’età compresa tra i 18 ed i 35 anni, che hanno perso fino al 42% del loro reddito. La disuguaglianza di genere è trasversale per ogni classe di reddito, anche se raggiunge i picchi estremi nell’1% più ricco della distribuzione. In questo segmento le donne arrivano a guadagnare la metà degli uomini. Il 50% più povero dell’Italia ha in mano il 17% del reddito nazionale e sopravvive con meno di 13.000 euro all’anno.
L’1% più ricco del Paese detiene circa il 12% del reddito nazionale, cioè una media di 310 mila euro all’anno, ottenuti soprattutto da redditi finanziari, profitti societari e redditi da lavoro autonomo, in gran parte derivante dal ruolo di amministratori societari – sottolinea Elisa Palagi, autrice dello studio e ricercatrice di Economia alla Scuola Superiore Sant’Anna -. Solo una ridottissima parte dei redditi dei più ricchi è ottenuta grazie ai redditi da lavoro dipendente.
A comporre lo 0,1% delle persone più ricche nel nostro paese sono 50.000 soggetti: detengono il 4,5% del reddito nazionale. Le entrate risultano essere, mediamente, superiori al milioni di euro all’anno. Una cifra che potrebbe essere raggiunta dal 50% delle persone più povere solo se riuscissero a risparmiare per 76 anni.
Redditi e fisco: il confronto e le differenze a livello internazionale
L’Italia, sostanzialmente, non si differenzia molto dagli altri paesi. Confrontando i risultati della ricerca italiana con altre analoghe effettuate in altre nazioni, il nostro paese presenta una concentrazione dei redditi molto simile a quella riscontrata negli Stati Uniti e Francia. Quello che preoccupa in Italia, però, è il trend in diminuzione della quota di reddito in mano alle fasce più povere.
A differenza della situazione in Francia, dove le fasce più deboli hanno visto un modesto aumento della loro quota di reddito – spiega Alessandro Santoro, autore dello studio e pro-rettore al Bilancio dell’Università di Milano-Bicocca – in Italia si osserva l’opposto, con le fasce più povere che diventano sempre più svantaggiate.
Il fisco italiano è blandamente progressivo
Oltre ad accendere degli importanti riflettori sulla distribuzione dei redditi a livello nazionale, lo studio analizza anche l’ammontare delle tasse raccolte dallo Stato – ad ogni livello, partendo dall’Irpef ed arrivando all’Imu – riuscendo a scattare una fotografia molto precisa.
Abbiamo dimostrato che l’intero sistema fiscale italiano è solo blandamente progressivo per il 95% più basso della distribuzione del reddito, con un’imposizione fiscale che sale dal 40% al 50% – spiega Andrea Roventini, autore dello studio, direttore dell’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna -. Il sistema diventa addirittura regressivo per il 5% dei contribuenti più ricchi con un’aliquota effettiva che scende fino al 36% per chi guadagna oltre i 500 mila euro annui. Il sistema fiscale è addirittura sempre regressivo se si considera la distribuzione del patrimonio invece che quella del reddito.
Per i redditi più alti, la minore incidenza fiscale è determinata, ad esempio, da fattori come:
- l’effettiva progressività dell’Iva, che grava di meno sui contribuenti più abbienti, che risparmiano di più;
- dal minor peso dei contributi sociali per i redditi superiori ai 100 mila euro;
- dalla maggiore rilevanza per i contribuenti più ricchi delle rendite finanziarie;
- dai redditi da locazioni immobiliari, tassati con un’aliquota del 12% o del 26%.